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Sessualità, indietrismo e sinodo. Cos’ha detto il papa ai gesuiti a Lisbona

Sessualità, indietrismo di chi nella Chiesa guarda al passato e non al domani e infine il sinodo, appuntamento ormai cruciale e imminente. Sono questi i temi trattati dal pontefice durante l’incontro privato con i Gesuiti e Civiltà Cattolica nel corso del suo recente viaggio a Lisbona

Come sempre durante i suoi viaggi, anche a Lisbona Bergoglio ha incontrato privatamente i gesuiti presenti e la rivista dei gesuiti, Civiltà Cattolica, ne dà conto con l’usuale pubblicazione del resoconto di quel colloquio, curata dal direttore, padre Antonio Spadaro. Già all’inizio emerge la conferma che leggendo Bergoglio si trova sempre qualcosa di straordinario. E all’inizio infatti il papa, raccomandando ai gesuiti di non adeguarsi alle leggi del successo, dell’affermazione individuale, cioè della mondanità, gli raccomanda però di dialogare con il mondo, “perché non potete vivere sottaceto”. Efficace introduzione a un discorso che ha toccato molti temi di cui qui ne possiamo riferite tre: la  sessualità, l’indietrismo di chi nella Chiesa guarda al passato e non al domani e infine il sinodo, appuntamento ormai cruciale e imminente. I temi della sessualità sono  presenti  non solo in un punto della conversazione, ma le parole più importanti al riguardo il papa le ha dette in questa risposta: “Io credo che sulla chiamata rivolta a “tutti” non ci sia discussione. Gesù su questo è molto chiaro: tutti. Gli invitati non erano voluti venire alla festa. E allora lui disse di andare ai crocevia e chiamare tutti, tutti, tutti”.

E affinché resti chiaro, Gesù dice “sani e malati”, “giusti e peccatori”, tutti, tutti, tutti. In altre parole, la porta è aperta a tutti, tutti hanno un loro spazio nella Chiesa. Come farà ciascuno a viverlo? Aiutiamo le persone a vivere in modo che possano occupare quel posto con maturità, e questo vale per ogni tipo di persona. A Roma conosco un sacerdote che lavora con ragazzi omosessuali. È evidente che oggi il tema dell’omosessualità è molto forte, e la sensibilità a questo proposito cambia a seconda delle circostanze storiche. Ma quello che a me non piace affatto, in generale, è che si guardi al cosiddetto “peccato della carne” con la lente d’ingrandimento, così come si è fatto per tanto tempo a proposito del sesto comandamento. Se sfruttavi gli operai, se mentivi o imbrogliavi, non contava, e invece erano rilevanti i peccati sotto la cintola. Dunque, sono tutti invitati. Questo è il punto. E occorre applicare l’atteggiamento pastorale più opportuno per ciascuno. Non bisogna essere superficiali e ingenui, obbligando le persone a cose e comportamenti per i quali non sono ancora maturi, o non sono capaci.

Per accompagnare spiritualmente e pastoralmente le persone ci vuole molta sensibilità e creatività. Ma tutti, tutti, tutti, sono chiamati a vivere nella Chiesa: non dimenticatelo mai. Prendo spunto dalla tua domanda e voglio aggiungere un’altra cosa che invece riguarda le persone transessuali. Alle udienze generali del mercoledì partecipa una suora di Charles de Foucauld, suor Geneviève, che ha ottant’anni ed è cappellana del Circo di Roma con altre due suore. Vivono in una casa viaggiante a fianco del Circo. Un giorno sono andato a trovarle. Hanno la cappellina, la cucina, la zona in cui dormono, tutto ben organizzato. E quella suora lavora molto anche con ragazze che sono transgender. E un giorno mi ha detto: “Le posso portare all’udienza?”. “Certo!”, le ho risposto, “perché no?”. E vengono sempre gruppi di donne trans. La prima volta che sono venute, piangevano. Io chiedevo loro il perché. Una di queste donne mi ha detto: “Non pensavo che il Papa potesse ricevermi!”. Poi, dopo la prima sorpresa, hanno preso l’abitudine di venire. Qualcuna mi scrive, e io le rispondo via mail. Tutti sono invitati! Mi sono reso conto che queste persone si sentono rifiutate, ed è davvero dura”.

Il punto è noto da tempo ma sempre più importante perché ormai è evidente che sull’omosessualità si gioca una partita politica globale. Il tandem asiatico costituito da Russia e Iran ne fa una questione di vita o di morte, con i russi che hanno giustificato l’invasione dell’Ucraina con l’urgenza di fermare la diffusione dei Gay Pride promossi dall’Occidente perverso e Khamanei che lancia il suo miliziano preferito, Nasrallah, ad affermare che gli omosessuali vanno eliminati perché ammalano le società. In Iraq i suoi hanno proposto la pena di morte per chi pratichi l’omosessualità. Dunque per me la sola risposta di civiltà è quella che propone Papa Francesco, senza confondere diritti e desideri.

Così diventa ancor più importante quanto Francesco  afferma passando all’indietrismo teologico, dottrinale, che gli viene fatto presente nella conversazione come opposizione al suo magistero soprattutto nella Chiesa americana: “Hai verificato che negli Stati Uniti la situazione non è facile: c’è un’attitudine reazionaria molto forte, organizzata, che struttura un’appartenenza anche affettiva. A queste persone voglio ricordare che l’indietrismo è inutile, e bisogna capire che c’è una giusta evoluzione nella comprensione delle questioni di fede e di morale[…]” . Qui il papa parla di consolidamento, dilatazione  e consolidamento sempre progredendo, in modo da divenire sempre più ferma. Poi aggiunge: “Andiamo al concreto. Oggi è peccato detenere bombe atomiche; la pena di morte è peccato, non si può praticare, e prima non era così; quanto alla schiavitù, alcuni Pontefici prima di me l’hanno tollerata, ma le cose oggi sono diverse. Quindi si cambia, si cambia, ma con questi criteri […] Ecco, la comprensione dell’uomo muta col tempo, e così anche la coscienza dell’uomo si approfondisce. Anche le altre scienze e la loro evoluzione aiutano la Chiesa in questa crescita nella comprensione.

La visione della dottrina della Chiesa come un monolite è errata. Ma alcuni si chiamano fuori, vanno all’indietro, sono quelli che io chiamo “indietristi”. Quando te ne vai all’indietro, formi qualcosa di chiuso, sconnesso dalle radici della Chiesa e perdi la linfa della rivelazione. Se non cambi verso l’alto, te ne vai indietro, e allora assumi criteri di cambiamento diversi da quelli che la stessa fede ti dà per crescere e cambiare. E gli effetti sulla morale sono devastanti. I problemi che i moralisti devono esaminare oggi sono molto gravi, e per affrontarli devono correre il rischio di cambiare, ma nella direzione che dicevo. Tu sei stato negli Stati Uniti e dici che hai avvertito un clima di chiusura. Sì, avverto che si può sperimentare questo clima in alcune situazioni. Ma così si perde la vera tradizione e ci si rivolge alle ideologie per avere supporto e sostegno di ogni genere. In altre parole, l’ideologia soppianta la fede, l’appartenenza a un settore della Chiesa rimpiazza l’appartenenza alla Chiesa”.

Francesco non si è fermato a questo ed ha spiegato la genesi dell’indietrismo,  ricordando quando il generale dei gesuiti compilava uno strano testo per rendere chiaro a ognuno di loro, per filo e per segno, tutto quello che dovevano fare. Era la paralisi, la fossilizzazione. Alla quale pose termine il generale dei gesuiti Pedro Arrupe “il quale ebbe il coraggio di metterla in movimento (la compagnia). Qualcosa gli sfuggì di mano, com’è inevitabile, come per esempio la questione dell’analisi marxista della realtà. Poi dovette mettersi a precisare alcune cose, ma lui è stato un uomo che ha saputo guardare in avanti. E con quali strumenti Arrupe ha affrontato la realtà? Con gli Esercizi spirituali. E nel 1969 fondò il Centro Ignaziano di Spiritualità.

Il segretario di questo Centro, p. Luís Gonzalez Hernandez, fu incaricato di andare in giro per il mondo a dare Esercizi e ad aprire questo nuovo panorama. Voi, i più giovani, non avete vissuto queste tensioni, ma quello che tu dici di alcuni settori negli Stati Uniti a me ricorda quel che abbiamo già vissuto, che ha generato una mentalità tutta irrigidita e squadrata. Quei gruppi americani dei quali parli, così chiusi, si stanno isolando da soli. E anziché vivere di dottrina, della vera dottrina che sempre si sviluppa e dà frutto, vivono di ideologie. Ma quando nella vita abbandoni la dottrina per rimpiazzarla con un’ideologia, hai perso, hai perso come in guerra”.

Ed eccoci al sinodo: al riguardo colpisce che, pur essendo imminente e riguardando proprio il passaggio a una Chiesa sinodale da quella gerarchica e verticista, nessuna domanda gli è stata rivolta al riguardo. Gli è stato chiesto cosa gli dia gioia e qui lui ha inserito questa tematica tanto decisiva quanto rimossa; “La gioia che ho più presente è la preparazione al Sinodo, anche se a volte vedo, in alcune parti, che ci sono carenze nel modo di condurla. La gioia di vedere come dai piccoli gruppi parrocchiali, dai piccoli gruppi di chiese, emergano riflessioni molto belle e c’è grande fermento. È una gioia. A questo proposito voglio ribadire una cosa: il Sinodo non è una mia invenzione. È stato Paolo VI, alla fine del Concilio, a rendersi conto che la Chiesa cattolica aveva smarrito la sinodalità. Quella orientale la mantiene. Allora disse: «Bisogna fare qualcosa», e creò la Segreteria per il Sinodo dei vescovi. Da allora in poi c’è stato un lento progresso. A volte, in modo molto imperfetto. Tempo fa, nel 2001, ho partecipato come Presidente delegato al Sinodo dedicato al vescovo come servitore del Vangelo di Gesù Cristo per la speranza del mondo. Nel momento in cui stavo preparando le cose per la votazione di ciò che era giunto dai gruppi, il cardinale incaricato del Sinodo mi disse: «No, questo non metterlo. Toglilo». Insomma, si voleva un Sinodo con la censura, una censura curiale che bloccava le cose”.



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