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Le underdog Meloni e il “modello” Spadolini. Scrive Tivelli

L’evocazione del concetto di Underdog relativo alle sorelle Meloni è molto importante perché l’Italia è strapiena, per fortuna, di Underdog che però hanno seguito scale e varchi diversi da quello dell’assunzione progressiva in seno alla classe dirigente politica

Giorgia Meloni, come è noto, ha evocato nel suo discorso di insediamento alla Camera il concetto di Underdog, inteso essenzialmente come soggetto che, pur partendo da una situazione molto svantaggiata, scala sostanzialmente tutti i piani dell’ascensore politico-sociale, così autodefinendosi. Ora le Underdog ai vertici di Fratelli d’Italia sono due, perché si è aggiunta la sorella Arianna. Che forse per certi aspetti ha recuperato prima della sorella Giorgia la condizione di Underdog, anche tramite il matrimonio con un noto esponente politico che veniva da quella che loro amano chiamare “la comunità”: in pratica una parte di quegli ex missini, non poco chiusi nella loro comunità, che poi man mano son riusciti in una scalata politica-sociale fino a giungere oggi al potere.

Pino Pisicchio, che non è un Underdog in quanto figlio di un autorevole deputato e sottosegretario, da queste colonne ha ricordato come nella Prima Repubblica l’itinerario per la scalata politica era un po’ diverso, mettendosi in gioco in chiave autobiografica. Visto che, in qualche modo, si è aperto su queste colonne un varco sugli autobiografismi, mi permetto di aggiungere qualche spunto autobiografico di uno, come il sottoscritto, che è non meno Underdog di quanto lo erano le sorelle Meloni, che qualcosina però è riuscito a fare salendo su qualche piano tramite una tipologia di ascensori sociali, diverso da quello politico-elettorale o da quelle che oggi sono sostanzialmente le nomine parlamentari.

Credo che l’evocazione del concetto di Underdog relativo alle sorelle Meloni sia molto importante perché l’Italia è strapiena, per fortuna, di Underdog (purtroppo specie nelle generazioni degli ultracinquantenni perché molti tra i più giovani sono stati costretti a rimanere solo “dog”…), che però hanno seguito scale e varchi diversi da quello dell’assunzione progressiva in seno alla classe dirigente politica. Mi autodenuncio, quindi, molto volentieri, in quanto Underdog, visto che in fondo mio nonno era un postino, che però per fortuna si chiama Libero e amava suonare il trombone nei circhi dell’area un po’ depressa, il Basso Polesine in cui abitava. Mio padre era un impiegato postale che si ammazzava di straordinari per mantenere in modo dignitoso la famiglia, poi diventato un dirigente d’ufficio postale.

Certo, nella mia famiglia nessuno è scappato di casa, come purtroppo è avvenuto nella famiglia delle Meloni, ma venivo man mano educato con forte impulso a cercare quei pochi varchi meritocratici che pur esistevano per superare la condizione di Underdog. Un itinerario che per certi versi ho seguito in gioventù in modo simile a quello delle sorelle Meloni, per altri versi puntando più sulla formazione e una vera e seria meritocrazia, cercandola man mano con il lanternino laddove poteva esistere. Dico per certi versi simile a quello della Meloni perché dall’età di quattordici anni avevo il tarlo della politica (questo è anche il titolo di un bel libro di Marco Follini) e, pur avendo superato in parte questo tarlo per fare un ciclo molto difficile di concorsi per venire a Roma a studiare nel college di eccellenza dei Cavalieri del Lavoro, mi è tornato poi il tarlo e dall’età di 21 anni facevo il leader politico giovanile, in quel partito Repubblicano in cui tanti, sulla scia del pensiero di Mazzini, di Cattaneo e di altre grandi personalità del Risorgimento si sentivano patrioti.

Perché non è certo solo a destra in questo paese, per fortuna, che ci sono patrioti. L’itinerario verso l’underdoggismo è stato però più complesso di quello della Meloni. La Meloni sentiva forse più forte il tarlo perché concluse i suoi studi con la maturità in quell’istituto professionale per il turismo ad indirizzo linguistico che frequentava con impegno e buoni risultati come mi ricorda sempre una sua ex professoressa che amo frequentare. Non solo gli anni degli studi di Giurisprudenza furono per me fondamentali per la mia formazione, arricchita da botte di trenta e lode e da studi di economia, di lingue e di scienze sociali nel college. Mentre tanti credevano che io fossi destinato ad una brillante carriera politica, non me la sentii di puntare a fare il politico di professione (per certi versi mi pareva un po’ comodo e che questo non mi avrebbe insegnato molto), preferendo fare, ovviamente tramite un difficile, selettivo e meritocratico concorso, quel mestiere di consigliere parlamentare che, se preso nel giusto verso, ti forma un po’ da costituzionalista e politologo, un po’ da servitore dello Stato.

Certo per un underdog anomalo e di confine, tra la politica e i canali meritocratici come ero io c’è sempre stato il problema di gestire con attenzione e rigore quella certa passione civile un po’ bruciante che sentivo dentro. D’altronde, in un mio libro di prossima pubblicazione (I segreti del potere, Rai Libri) Giuseppe De Rita, che è il miglior “annusatore” non solo della società italiana ma anche di quelle che lui ama definire le oligarchie, sostiene che una certa sana passione civile sia necessaria per un buon civil servant. Ho ricordato tutto questo, presentandomi come Underdog in qualche modo di confine, tra i seri e rigorosi canali meritocratici e il rischio della politica di professione, perché non credo certo di essere e di essere stato l’unico Underdog di questo tipo in Italia. Certo, in questi casi bisogna anche pagare dei piccoli costi. Ad esempio quando ero un leaderino politico giovanile, mentre i miei colleghi degli altri movimenti giovanili svolazzavano su e giù dagli aerei o magari anche tramite la “freccia alata”, io dovendo e volendo completare al meglio in corso la mia laurea, viaggiavo su treni di seconda classe ed ero ad esempio felice di poter preparare un esame quando mi capitava di andare e tornare da Roma a Torino con ben sedici ore di viaggio.

Ma l’Italia è piena anche di underodog che, spesso per loro fortuna, la politica non l’hanno mai nemmeno sfiorata, e che forse si stanno risvegliando a sentire la consapevolezza di questa condizione. Va quindi rivolto un grazie sentito alle sorelle Meloni, una delle quali almeno è però un’underdog cooptata, perché ovviamente la politica di oggi è fatta di cerchi magici e nei cerchi magici a volte può esserci una componente familistica. Forse sarebbe una bella idea quella di lanciare una sorta di bando chiedendo a tutti coloro che si sentono e sono consapevoli di essere Underdog di iscriversi a delle sorta di liste. Questo soprattutto perché per fortuna non pochi underdog sono passati per i pochi varchi della meritocrazia consentiti sempre meno nel passaggio da decennio a decennio. Si potrebbe ad esempio fare per un verso l’assemblea degli Underdog ad impronta meritocratica, per altro verso l’assemblea degli Underdog ad impronta politico-cooptativa. Di questo tipo, certamente, non ce ne sono pochi, anche ad esempio nei sindacati o in altre organizzazioni similari. In ogni caso ben venga la riemersione, la nuova consapevolezza della condizione di Underdog, specie al fine di rilanciare davvero, in senso politico e sociale il valore della meritocrazia.

Ciò che ha provato per ora in qualche modo (domani vedremo gli eventuali sviluppi) a fare la principale delle sorelle Meloni. Senza però accorgersi che non ci può essere sana e seria meritocrazia senza concorrenza, così come non ci può essere seria e sana concorrenza senza meritocrazia. Certamente se si facesse l’assemblea degli Underodog meritocratici questo emergerebbe è sarebbe un impulso importante per le sorelle Meloni, che un po’ alzano la bandiera della meritocrazia, ma che dovrebbero finalmente prendere atto che meritocrazia e concorrenza sono sorelle gemelle. Vedremo quale sarà il contributo dell’altra sorella, ma fin qui la sorella Giorgia essenzialmente, prima come leader indiscusso di Fratelli d’Italia (grazie anche alle opportunità in precedenza offertele da Gianfranco Fini di fungere da vicepresidente della Camera e da Ministro della Gioventù), poi come Presidente del Consiglio, ha mostrato di preferire tendenzialmente la difesa dei balneari o dei tassisti di turno ai sani principi o alle sane regole della concorrenza. Spetta agli altri tantissimi underdog, specie a quelli di impronta meritocratica, contribuire a diffondere questi valori e ad aiutare le sorelle Meloni nel cogliere il senso profondo del connubio concorrenza meritocrazia, senza il quale l’Italia non potrà sostanzialmente riprendere a crescere. Ultimo, ma non meno importante, uno dei motivi per cui ho contribuito a fondare e presiedo l’Academy Spadolini è peraltro il fatto che Giovanni Spadolini, di cui nel 2024 ricorrerà il trentesimo dalla scomparsa, è stato un modello di Underdog.

Essendo nella sua Firenze il padre, artista e pittore, purtroppo scomparso molto prematuramente, a poco più di vent’anni era già collaboratore del Mondo di Pannunzio, a venticinque anni aveva già pubblicato il “papato socialista”, un libro fondamentale sul vero senso del papato di Giovanni XXIII, anche ai fini del rapporto tra Stato e Chiesa, a trentaquattro anni era direttore del Resto del Carlino, a poco più di quarant’anni primo professore ordinario in Italia di Storia contemporanea e poco dopo direttore del Corriere della Sera, per essere poi candidato ed eletto nelle liste del partito Repubblicano a Milano nel ’72, per fondare quindi il Ministero dei Beni culturali nel 1974. Per essere poi primo presidente del Consiglio laico, repubblicano e non democristiano nella storia della Repubblica e quindi Ministro più volte, Presidente del Senato (forse un po’ più equilibrato e preparato di qualcuno tra quelli che gli sono succeduti). Tutte posizioni assunte sulla base di una sana meritocrazia e di un sano principio della concorrenza allora in qualche modo più vigente di oggi. Diciamo quindi che la figura di Spadolini si erge quasi a presidente d’onore dei veri Underdog meritocratici in Italia.

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