Dinanzi alla prospettiva di affidare il governo a Schlein, anche i moderati e i conservatori più delusi voterebbero, turandosi il naso, per Meloni e i suoi. Ma il dissenso a destra può crescere. Le Europee? Saranno il banco di prova per la tenuta di FI, post Berlusconi. Conversazione con il politologo Tarchi
Prima le dichiarazioni contenute nel libro del generale Roberto Vannacci. Poi il caso delle dimissioni di Marcello De Angelis dopo le polemiche scatenate da un post a inizio agosto in cui negava la matrice fascista della strage di Bologna e rinfocolate pochi giorni dopo a causa di una canzone antisemita scritta nel 1995. Insomma, le insidie per Giorgia Meloni sono anche a destra. Peraltro, all’orizzonte si profila un autunno con diversi nodi da sciogliere e, in primavera, le elezioni europee. Qualche malumore – a destra, appunto – serpeggia. Ma, dice Marco Tarchi politologo e docente all’Università degli Studi di Firenze Cesare Alfieri a Formiche.net, “dinanzi alla prospettiva di affidare il governo a Schlein, anche i moderati e i conservatori più delusi voterebbero, turandosi il naso, per Meloni e i suoi”.
Professore, dal caso del libro del generale Vannacci alle dimissioni di Marcello De Angelis. Si sta profilando un “nemico a destra” che insidia il governo guidato dal premier Meloni o sono casi il cui impatto è destinato a scemare col tempo?
Sono due casi molto diversi, anche se si sono prestati a polemiche convergenti da parte delle opposizioni. A destra di Fratelli d’Italia non esiste, oggi, uno spazio elettorale per concorrenti, ma il successo del libro di Vannacci conferma la preoccupazione di un cospicuo numero di cittadini per questioni che, quando era all’opposizione, FdI prometteva di risolvere e che oggi dimostra di non sapere, o volere, affrontare, in modo deciso.
Quanto, in questa fase e in prospettiva, è destinato a crescere il “malumore” di chi – da destra – è rimasto deluso dalla progressiva linea moderata che il presidente del Consiglio sta assumendo? È una linea conveniente sotto il profilo politico?
Quanto crescerà dipende dai comportamenti che il governo assumerà. Promettere una “rivoluzione conservatrice” e poi assumere un basso profilo su questioni che impegnerebbero in una battaglia frontale con lo schieramento progressista rischia, in effetti, di far perdere consenso. Ma, da questo punto di vista, l’attuale segreteria è una sorta di controassicurazione: dinanzi alla prospettiva di affidare il governo a Schlein, anche i moderati e i conservatori più delusi voterebbero, turandosi il naso, per Meloni e i suoi.
Quali sfide attendono in governo in autunno tra Finanziaria, revisione del Patto di stabilità e Mes?
Non faccio previsioni. Di sicuro, la più volte ribadita mancanza di risorse partorirà una Finanziaria destinata a non piacere a tutti. Quanto alle altre questioni, il governo potrebbe scaricarle, almeno sul piano comunicativo, sull’Unione europea e su quel suo “egoismo” tante volte denunciato da FdI e Lega quando erano all’opposizione.
L’opposizione ha dimostrato, per lo meno sul salario minimo, compattezza. È un fuoco di paglia o è un’unione destinata a durare anche su altri temi?
Penso che sia una convergenza occasionale. Ce ne saranno altre, ma un accordo più organico fra partiti così diversi è impossibile.
Il Pd guidato da Schlein si sta spostando sempre di più su posizioni “grilline”. A molti pare che questa sia una sorta di rincorsa. È una tattica conveniente o così i dem rischiano di perdere sempre più terreno tra i moderati?
La scommessa è evidentemente quella di ritrovare sostegno a sinistra, attirando quell’elettorato di sentimenti più radicali che da almeno un decennio è rifluito nel disimpegno e nell’astensione, più ancora che di far concorrenza al M5S. Uno spostamento di questo tipo è destinato ad allontanare una parte degli elettori di centrosinistra più moderati. Si tratta di capire, in questo calcolo di profitti e perdite, dove penderà la bilancia.
Torniamo alla coalizione di centrodestra. È evidente che su alcuni temi – dalla tassazione sugli extraprofitti delle banche alle privatizzazioni – nella maggioranza ci siano sensibilità molto differenti. Come coniugarle da qui a giugno 2024 in occasione delle elezioni Europee?
Il solo vero problema è Forza Italia, che, perso il suo unico leader, deve sforzarsi di valorizzare il proprio profilo liberale per sottrarsi ad un ulteriore declino. Ma, al di là di qualche dichiarazione di dissenso, gli orfani di Berlusconi non possono andare: se mettessero in crisi il governo, per loro sarebbe la fine. Le Europee saranno il banco di prova della loro tenuta, ma difficilmente amplieranno i loro limitati margini di manovra.