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Patto di stabilità, Mes e Finanziaria. Tria indica la direzione al governo

Sulla revisione del Patto di stabilità non bisogna ancorarsi troppo alla discrezionalità della Commissione. La flessibilità va ottenuta sul versante degli investimenti strategici. E va ratificato il Mes. Conversazione con l’ex ministro dell’Economia

Evitare di ancorarsi troppo alla Commissione europea e, tra le due proposte, propendere per quella tedesca piuttosto magari con qualche correttivo. E la flessibilità? Serve per gli investimenti strategici. Sono queste le linee guida che il governo di Giorgia Meloni dovrebbe perseguire, nell’ambito della revisione del Patto di stabilità secondo Giovanni Tria, ex ministro e docente ordinario a Tor Vergata.

Professore, partiamo dal rapporto degli Stati membri con la Commissione. La direzione è quella della flessibilità. Quali i punti perseguire su questo versante?

La partita da giocare è quella di arrivare a una riforma che non lasci troppo spazio alla discrezionalità della Commissione europea. La proposta attuale viene “venduta” come una linea di maggiore flessibilità per i Paesi membri. In realtà, questo darebbe un potere enorme alla Commissione rischiando di condizionare gli stati membri nel rapporto con i mercati finanziari. In più verso l’Italia noto un approccio paternalista, che è inaccettabile ai miei occhi. Per cui, la soluzione migliore, sarebbe quella di arrivare a un piano che dia garanzie su un percorso di aggiustamento debito-Pil. Ed ecco perché secondo il mio punto di vista è meglio “l’ipotesi tedesca”.

Quale deve essere secondo lei l’approccio al negoziato sulla revisione?

L’approccio deve essere molto serio, anche perché le alleanze possibili per ottenere risultati soddisfacenti sono diverse, potenzialmente. Ci deve essere la consapevolezza che si sta ragionando non per costruire le regole solo per il prossimo anno, ma dovranno essere durature. La visione deve essere di prospettiva. Non solo. La trattativa non deve avere come unico obiettivo quello di fare più debito. A mio parere, comunque, in tutta la discussione sulla revisione del Patto di stabilità, manca un elemento fondamentale.

A che cosa si riferisce?

Il punto centrale è lavorare per avere un’autorità fiscale centrale a livello europeo. Una politica fiscale comune, che garantisca maggiore stabilità e che possa in qualche modo “interfacciarsi” con la politica monetaria. Mi rendo conto che non sia qualcosa che si costruisce dall’oggi al domani. È un processo, ma secondo me l’obiettivo è essenziale. La condizione essenziale per raggiungerlo, però, è una maggiore integrazione europea in particolare con in Paesi del Nord. Che, allo stato, non c’è.

Resta, tuttavia, il nodo della flessibilità. 

La flessibilità, ribadisco, va ottenuta sul conto capitale. Sugli investimenti strategici, in particolare quelli che rispondono a piani europei. Uno su tutti il Pnrr. Non si può immaginare che il debito legato alle risorse del Next Generation Eu ricada sul deficit annuale.

L’altro nodo da sciogliere è legato alla ratifica del Mes. Qui si intrecciano sia il piano politico che quello economico. Che esito prevede?

Parto col dire che personalmente sono a favore della ratifica al Mes. Ma sono consapevole che la posizione sulla ratifica generi problemi politici. Va detto che anche in Conte II e il governo Draghi non ratificarono il Mes proprio per evitare problemi con le maggioranze in Parlamento. Comunque, il Mes va ratificato e la cosa migliore sarebbe spiegare all’opinione pubblica che non si sta istituendo il Mes, né che ratificandolo ci sia l’obbligo di usufruirne.

La coperta per la Manovra è corta, hanno detto più volte sia il ministro Giorgetti che la premier Giorgia Meloni. È ancora presto per trarre delle conclusioni, ma al momento come le sembra l’indirizzo assunto dall’esecutivo?

Attorno alla Legge di Bilancio si costruiscono sempre degli psicodrammi. Una drammatizzazione frutto di varie componenti. Penso che, però, l’indirizzo assunto dal governo sia molto positivo e il 31 di dicembre non cadrà il mondo come alcuni pensano. Le risorse si devono trovare nelle pieghe del bilancio, attraverso un lavoro minuzioso e senza grandi spostamenti. Magari definanziando gli interventi accumulati dai governi precedenti. Come ha fatto Meloni con Reddito di cittadinanza e Superbonus.

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