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Come leggo le parole di Amato su Ustica. L’opinione di Mayer

Se non si continua a cercare con ostinazione la verità anche a più di 40 anni dalla strage, la credibilità occidentale sarà ad alto rischio. Il commento di Marco Mayer

La maggioranza dei quotidiani non ha colto il tema cruciale sollevato con la sua intervista a Repubblica da Giuliano Amato sulla strage di Ustica. Amato, libero dalle responsabilità istituzionali che hanno caratterizzato la sua vita pubblica (ultima la Corte Costituzionale), solleva il tema cruciale della trasparenza e della ricerca della verità, pilastri delle società aperte e della difesa delle libertà su cui si fonda la stessa Alleanza atlantica.

È, infatti, difficile parlare di democrazia quando la democrazia non è in grado di ammettere e correggere gli errori da essa stessa compiuti. È incredibilmente miope e provinciale appiattire e/o sminuire le dichiarazioni di Amato (che affronta una delle vicende più drammatiche della nostra storia recente) all’attualità contingente. Non ha alcun senso parlare di destabilizzazione e/o di stress test per il governo di Giorgio Meloni. Se non si continua a cercare con ostinazione la verità – a più di 40 anni di distanza dalla tragedia di Ustica – la credibilità della Nato (e più in generale dei paesi democratici che ne fanno parte) sarà ad alto rischio.

Nello stato di diritto la politica deve essere ben distinta dalla morale, ma non per questo la politica non ha responsabilità etiche. In questi giorni le tante menzogne contenute nei manuali scolastici di storia (voluti da Vladimir Putin) sui carri armati a Budapest nel 1956 e sull’Unione Sovietica del dopoguerra hanno fatto arrabbiare persino Viktor Orbán. È un preciso dovere delle nostre società andare nella direzione opposta rispetto alla deriva sempre più autoritaria della Russia putiniana. Vivere e credere in una società aperta significa puntare alla ricostruzione rigorosa dei fatti, anche quando particolarmente spiacevoli. Dopo la diagnosi (elaborata nel luglio del 1980) dei tracciati radar di un ex pilota americano, noto analista del settore, in Italia il primo a parlare di missile fu nel dicembre 1980 Rino Formica (allora ministro dei Trasporti) che informà subito il ministro della Difesa Lelio Lagorio.

Ma, in seguito a una sollecitazione del presidente della Repubblica Francesco Cossiga, le parole più forti le espresse Bettino Craxi l’8 novembre 1988 in Parlamento: “Se risulterà definitivamente accertato che si è trattato di un missile risulterà per necessità ristretta la cerchia dei possibili responsabili”. Solo dopo la caduta del muro di Berlino, negli anni Novanta si aprono i primi spiragli sulla strage di Ustica. Sulla base dell’intesa tra Romano Prodi e Javier Solana nel 1996-1997 la Nato fornisce un primo rapporto sui tracciati radar che evidenzia la presenza di almeno 21 vettori nella zona. Successivamente sarà accertata la presenza di altri quattro mezzi aerei di nazionalità indeterminata. Nel 2007 e nel 2008 è nuovamente Cossiga che affronta il dossier Ustica, questa volta attribuendone esplicitamente la responsabilità a un missile francese.

A proposito di Francia la storica Bruna Bagnato ha ricordato due elementi importanti:

primo, nel 1990 la deposizione del direttore del Sismi, ammiraglio Fulvio Martini, in Commissione Stragi chiama in causa Francia e/o Stati Uniti; secondo, il Quai d’Orsay non risponde pubblicamente a queste accuse nonostante la formale richiesta di Palazzo Farnese che a Roma è sotto la pressione dei media e dell’opinione pubblica italiana.

Per quanto riguarda, infine, gli Stati Uniti dai documenti declassificati del biennio 1988-1989 si ricava l’impressione che rispondano con dati specifici, ma sempre “settoriali” alle numerose richieste scritte e verbali formulate dal nostro ambasciatore a Washington, Rinaldo Petrignani.

Durante nove anni di indagini il giudice Rosario Priore ha richiesto centinaia di rogatorie internazionali e, come si è visto, la vicenda ha complessi risvolti internazionali su cui si deve ancora chiarezza. È pertanto difficile dar torto a Amato o peggio sminuire il suo appello. Non è accettabile che 37 anni dopo alcuni degli accertamenti sollecitati da Craxi e Cossiga non siano stati ancora effettuati.

Un’ultima osservazione. Per quanto riguarda, invece, Muammar Gheddafi, come sottolineato dal figlio Bobo Craxi, non è stato il leader socialista ad avvertirlo del pericolo (come Amato ipotizza, ma solo come congettura de relato). L’informativa sarebbe arrivata al leader libico dal generale Giuseppe Santovito, all’epoca a capo del Sismi.



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