Tra due giorni parte il G20 in India: il premier Modi ha usato bene la presidenza di turno per accrescere la forza internazionale del suo Paese, che sta vivendo un periodo fortunato. I risultati del summit saranno un test per le capacità raggiunte da Nuova Delhi
Questo fine settimana, l’India ospiterà il 18° vertice annuale del G20. “L’evento, agli occhi del governo indiano, segnerà la crescente importanza internazionale del paese”, scrive Sushant Singh su Foreign Affairs che dedica uno speciale al Subcontinente dal titolo esplicito: “India in the spotlights”. Quei riflettori puntati illumineranno la situazione che il più importante media in cui si analizzano le relazioni internazionali sintetizza così: “Anche se il primo ministro Narendra Modi mira a rendere l’India un leader globale, il paese sta affrontando ostacoli che potrebbero complicare queste ambizioni, tra cui il contraccolpo pubblico in risposta alle politiche etnonazionaliste di Modi, gli attacchi del partito Bharatiya Janata alle istituzioni democratiche indiane, i ritardi tecnologici, il cambiamento climatico e una politica estera ambigua che potrebbe minare le relazioni dell’India con gli alleati chiave, tra cui Washington”.
Il summit
Il summit annuale del G20 offre — tra i fasti protocollari dell’organizzazione — l’opportunità di valutare le performance dell’India come presidente di turno del più potente forum economico globale. L’India ha utilizzato con successo questa posizione per promuovere i suoi obiettivi di politica estera e alcune imperativi interni. Tuttavia, la sua sfida più grande si presenta al summit stesso, dove Nuova Delhi cercherà di guidare una membership divisa verso un consenso finora sfuggente. Sarà importante su questo pesare ogni virgola del comunicato congiunto (il cosiddetto “Communiqué”) che uscirà pubblicamente nei prossimi giorni, in cui si lèggeranno in controluce le posizioni e attorno a cui ci saranno vari retroscena forniti ai giornali.
Sotto la guida del primo ministro Modi, l’India cerca di dimostrare di poter brillare sulla scena globale, respingendo le critiche, sia internazionali che domestiche, che accusano il paese di avere un peso diplomatico inferiore alle sue capacità e che incolpano la leadership di operare costanti contrazioni del processo democratico con limitazioni per opposizioni e minoranze. Modi, nel suo anno da presidente del G-20, ha lavorato per sfruttare l’occasione come trampolino per lanciare la sua standing internazionale, legando la sua immagine a quella del Paese (e viceversa). Questa settimana, il ministro dell’Informazione indiano, Anurag Thakur, ha fornito i numeri di questo sforzo: il Paese sta ospitando più di 200 incontri in oltre 60 città, con diecimila delegati da 125 nazioni, da quando ha assunto il ruolo dall’Indonesia a fine 2022.
Il ponte verso il Global South e il G7 italiano
L’India mira anche a sfruttare la sua crescente presenza globale per fungere da ponte tra le economie sviluppate e il Sud del Mondo (il cosiddetto Global South). Il G20 è una piattaforma ideale, e Nuova Delhi ha posto alcune delle sfide più pressanti come l’insicurezza alimentare, il cambiamento climatico, il debito in cima all’agenda dei meeting di quest’anno. Temi che saranno traslati nel G7 che sta organizzando l’Italia. Roma intende elevare certe situazioni sul tavolo delle dinamiche internazionali trattate dai Sette Grandi perché percepisce che possono essere fonte di instabilità con riflessi diretti. E perché intende farsi interlocutore nel Mediterraneo allargato con un occhio a Oriente — alla stregua di Nuova Delhi, che mira al bacino indo-pacifico ma allunga i suoi interessi verso Occidente.
A gennaio, New Delhi ha ospitato il Summit del Sud del mondo, includendo prospettive da vari governi, e ha — in uno dei passaggi più concreti di queste attività strategiche — chiesto che l’Unione Africana diventi membro del G-20, seguendo (e anticipando) un’iniziativa pensata già da Usa d Ue.
Naturalmente, l’India vede anche la sua presidenza del G-20 come uno strumento di relazioni pubbliche per proiettare la sua influenza globale e distogliere l’attenzione dai problemi interni del paese. E anche su questo, Nuova Delhi ha avuto successo. A maggio ha ospitato un summit turistico del G-20 nel contestato Kashmir, cercando di trasmettere una sensazione di normalità nella regione, nonostante la repressione statale. (Alcuni membri del G20 si sono astenuti in segno di protesta, ma si è trattato di vicende laterali e di importanza relativa).
I compiti del G20 dell’India hanno anche permesso comodamente al governo di deviare l’attenzione del mondo verso la violenza etnica nello stato nordorientale di Manipur questa estate, così come gli scontri comunali recenti nei pressi di Delhi, tra cui quelli nella città di Gurugram, sede di decine di aziende inserite nella lista Fortune 500. È anche questa dimensione — connessa all’economia e alla possibilità che l’India diventi un centro di riferimento del reshoring occidentale pensato sulla base del de-risking dalla Cina — che dà forza al Paese.
Certamente, l’India sta ospitando l’evento in un momento fortunato. L’anno scorso ha superato il suo vicino gigante, la Cina, diventando la nazione più popolosa al mondo, secondo le stime delle Nazioni Unite. Il suo futuro sembra relativamente più brillante: la popolazione dell’India è molto più giovane di quella cinese, e il governo prevede che l’economia crescerà del 7% quest’anno superando la Cina. Con Modi, le ambizioni del paese diventano sempre più elevate: l’India il mese scorso è riuscita a far atterrare una navicella spaziale sul polo sud della Luna, diventando la prima nazione a riuscirci.
Le divisioni nel G20
Il vero successo della presidenza del G20 di Nuova Delhi, che terminerà a dicembre, sarà giudicato però dall’esito del summit di questo fine settimana, e come accennato dalla produzione di una dichiarazione congiunta dei membri. L’India si vanta della sua capacità di gestire le relazioni con Stati rivali come gli Stati Uniti e la Russia. Tuttavia, con il G20 che sta cedendo sotto il peso della competizione tra le grandi potenze, ottenere la firma di tutti i membri su una dichiarazione sarà una sfida ardua.
La Francia afferma da febbraio che non firmerà un documento al summit che non condanni l’invasione russa dell’Ucraina, mentre la Russia non approverà un documento che lo faccia. Le assenze del presidente russo, Vladimir Putin, e del cinese Xi Jinping renderanno ancora più esile la possibilità di un consenso totale. I loro sostituti non hanno l’autorità per compiere tali compromessi o concessioni. Inoltre, nessun evento chiave del G20 tenuto finora sotto la guida dell’India ha raggiunto un consenso totale. E poi tra i diversi membri esterni al blocco occidentale c’è un sentimento condiviso: evitare giochi a somma zero, mantenere una dimensione di multi-allineamento sfruttando la multipolarità del momento. L’India, che di tale sentimento ne è portabandiera con la postura storica di non allineata, può essere riferimento ma difficilmente mediatrice.
Scenari e sfide di immagine
Per questo la migliore speranza dell’India per il summit è una dichiarazione congiunta che si concentri su argomenti meno controversi — come il sostegno all’adesione dell’Unione Africana, l’impegno a rafforzare la sicurezza alimentare globale e l’approvazione della diffusione delle tecnologie energetiche pulite — utilizzando la formula “la maggior parte dei membri” quando intende segnalare le aree di disaccordo, come è successo con la dichiarazione dello scorso anno a Bali, in Indonesia (Paese che più in piccolo sta vivendo una fase storica simile a quella indiana).
Il peggior scenario possibile — l’incapacità di produrre una dichiarazione congiunta, la prima volta dalla fondazione nel 1999 — sarebbe un colpo per l’India, e in particolare per Modi, che ha investito considerevole capitale politico nella presidenza dell’India del G20. L’immagine del primo ministro e il simbolo del partito di governo, il loto, hanno adornato la pubblicità del G20 indiano, collegando il summit al suo stesso marchio personale. Il governo potrebbe persino aver pianificato di farlo letteralmente, e non solo attraverso le gigantografie di Modi per le strade: alcune delle inviti del G20 inviati dall’ospite non sono stati firmati dal “Presidente dell’India” ma piuttosto dal “Presidente di Bharat”, usando una parola sanscrita e hindi preferita dal partito nazionalista al potere, il Bharatiya Janata Party (BJP) (da notare: il leader del governo del Bengala Occidentale, Mamata Banerjee, ha criticato l’uso del nome nei documenti ufficiali indiani, definendolo un “tentativo palese di distortione della storia del paese”). Con tanto in gioco per l’India e per Modi, il fallimento potrebbe non essere un’opzione, ma il successo non sarà facile.
Mentre Modi è comunque in crescita di popolarità in patria — il primo ministro indiano è tra i leader mondiali più popolari quando si tratta di sostegno domestico — potrebbe avere molto più strada da fare a livello internazionale. Un recente sondaggio del Pew Research Center ha rilevato che una media del 40% delle persone intervistate in 12 Paesi non aveva fiducia che Modi prendesse le decisioni giuste negli affari globali, rispetto al 37% che ha detto di aver fiducia. Circa il 10% gli astenuti, non in grado ancora di esprimere un parere su Modi come leader globale.