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La “Nuova Via del Nucleare” di Mosca guarda all’Africa

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Gli accordi firmati tra Rosatom e i rappresentanti di alcuni Paesi africani spingono ulteriormente la penetrazione nucleare russa nel continente, a quasi dieci anni dall’inizio della cooperazione con l’Egitto. Un’opportunità importante per Mosca, che però potrebbe incontrare alcuni ostacoli

Il secondo summit Russia-Africa svoltosi a San Pietroburgo tra il 27 e il 28 luglio è stato definito molto poco “fruttuoso” dai commentatori, soprattutto in base al basso numero di Stati che vi hanno preso effettivamente parte. Tuttavia, per Mosca il vertice è stato in ogni caso un’occasione per stringere nuovi e importanti legami. Uno dei settori che è stato interessato principalmente da questa dinamica è quello del nucleare civile. Zimbabwe, Burundi ed Etiopia hanno firmato memorandum o accordi di cooperazione con la Federazione Russa per lo sviluppo dell’energia nucleare; inoltre, il produttore russo di combustibile Tvel si è accordato con la South African Nuclear Energy Corporation per la produzione e il trattamento del combustibile nucleare.

Non è difficile intuire perché gli occhi di Mosca si siano soffermati su questo settore. L’Africa rappresenta un mercato in pieno sviluppo, che in un periodo storico segnato dalla fine del combustibile fossile e da uno slancio globale verso la transizione energetica vede nel nucleare l’unica fonte di energia pulita capace di soddisfare i suoi fabbisogni attuali e futuri. E il fatto che al momento esista una sola centrale operative in tutto il continente (sita a Koeberg, in Sud Africa) rende l’occasione ancora più ghiotta per Rosatom e il suo diffuso sistema di export di know-how per la costruzione di impianti nucleari civili.

Non è la prima volta che il nucleare rappresenta il “cavallo di Troia” usato da Mosca come strumento della sua penetrazione in Africa. Già nel 2015 l’Egitto aveva firmato con Rosatom un contratto per la costruzione di una centrale nucleare di quattro reattori presso la località di El-Dabaa, che dovrebbe diventare operativa in una data compresa tra il 2028 e il 2031 (anche se in un primo momento si prevedeva che ciò dovesse avvenire entro il 2024). Contratto accompagnato da un prestito agevolato da 25 miliardi di dollari che sarebbe stato usato per finanziare la quasi totalità dell’infrastruttura. Un progetto definito dall’allora direttore di Rosatom Alexei Likhatchev “il più grande progetto di cooperazione tra Russia ed Egitto dopo la Diga di Asswan”.

Un esempio concreto dell’approccio del Cremlino alla “diplomazia nucleare”, basato su prestiti statali preferenziali che coprono la maggior parte del finanziamento di un particolare progetto. Così da creare un forte legame, finanziario e non, con un determinato Paese, favorendo così eventuali progetti id collaborazione futuri, e allo stesso tempo impedendo che questo Paese possa cercare partner alternativi ad Occidente. Una specie di “Nuova Via del Nucleare” in salsa russa.

D’altro canto però, il caso di El-Daaba può anche scoraggiare altri Paesi africani a cercare di collaborare con mosca per la realizzazione della propria infrastruttura nucleare. Per capire il perché è necessario soffermarsi sulle tempistiche: i ritardi nel completamento della centrale egiziana possono essere, almeno in parte, dovuti ai danni causati dalle sanzioni occidentali. Sanzioni che negli ultimi anni, e specialmente in seguito all’invasione dell’Ucraina, sono cresciute a dismisura. La prospettiva di doversi legare profondamente, soprattutto attraverso prestiti da ripagare, alla Russia senza riuscire a realizzare gli impianti previsti potrebbe non essere considerato troppo accattivante dagli Stati africani. Zimbabwe, Burundi ed Etiopia (così come Marocco e Zambia) avevano già avviato in precedenza delle partnership con Rosatom, e i nuovi accordi siglati a San Pietroburgo, caratterizzati da un orizzonte temporale molto lungo (nel caso dell’Etiopia si prevede che i lavori non termineranno prima del 2035-2040), potrebbero essere considerati come l’evoluzione di queste partnership preesistenti. Mentre Paesi come il Ghana hanno preferito optare per una collaborazione con Washington, vedendo negli stati uniti un partner più affidabile sia sul punto di vista economico che su quello politico.

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