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Non scarichiamo i costi dell’energia sulle future generazioni. Una lettera al Presidente del Consiglio da un vedroide

Caro Enrico,

in questo momento come nei precedenti 8 anni saremmo dovuti essere alla centrale di Fies in Trentino per partecipare ai lavori di VeDrò, il think net nato da una tua intuizione e animato da centinaia di persone con i più diversi background professionali e ideologici. Ma tra le tante differenze, che hanno rappresentato la vera ricchezza di VeDrò, c’era l’adesione ad alcuni valori chiave. Uno di questi è il principio di equità intergenerazionale. Cioè il fatto che la nostra generazione di trentenni e quarantenni, nel momento in cui fosse stata chiamata a ruoli di responsabilità, a differenza di quelle che ci hanno preceduto, avrebbe risolto i problemi in agenda senza scaricarne i costi su quelle successive. Per questo, credo che per tanti di noi uno dei passaggi più significativi del tuo discorso alle Camere in occasione della fiducia sia stato quello in cui hai affermato che occorre dire “basta coi debiti che troppe volte il nostro Paese ha scaricato sulle spalle e la vita delle generazioni successive. Quelle nuove, di generazioni, hanno imparato sulla propria pelle e non faranno lo stesso con i propri figli”.

E’ proprio questo concetto quello che mi è riecheggiato nella mente quando alcune anticipazioni di stampa, da ultimo ieri il Corriere della Sera, hanno svelato un piano elaborato dal Ministero dello Sviluppo Economico per tagliare i costi dell’energia elettrica per famiglie e imprese, attraverso l’emissione di un bond. Nel primo anno, dovrebbero essere emesse obbligazioni per 3 miliardi di euro (con ogni probabilità da parte del GSE, società controllata al 100% dal Ministero dell’Economia e delle Finanze), che si tradurrebbero nelle intenzioni del Governo in un risparmio di 2 miliardi per le imprese e 1 miliardo per le famiglie (dichiarazioni di ieri del Sottosegretario De Vincenti). In un periodo di crisi come questo, sono soldi benedetti, che farebbero certamente molto comodo alle une e alle altre. Come riporta l’ultima Relazione annuale dell’Autorità per l’energia elettrica e il gas, in Italia le famiglie che consumano più di 2500 kWh annui pagano fino al 70% in più della media europea e le imprese fino al 50% in più. Si tratta di un gap ormai storico (che risale soprattutto a un mix delle fonti non ottimale), che tuttavia è peggiorato nell’ultimo periodo, a causa in particolare degli oneri legati all’incentivazione delle fonti rinnovabili (e in parte anche al fisco). Cresciuti da noi più che altrove, a seguito di un aumento disordinato e repentino della capacità di generazione soprattutto fotovoltaica.

Per questi motivi, l’esigenza di alleggerire le bollette per imprese che devono competere ad armi pari sui mercati internazionali e famiglie sfiancate da cinque anni di crisi è più che mai forte e il Governo fa bene a ritenerla una delle principali priorità del momento.

Ma risolvere il problema oggi per spostarlo nel tempo, dovendo in più pagare gli interessi (nelle previsioni almeno il 4% annuo, stando agli attuali rendimenti medi per questo tipo di investimento finanziario), mi pare francamente una soluzione del tutto inadeguata. E che fa a cazzotti con il principio di equità intergenerazionale. E’ vero, tecnicamente non è debito dello Stato perché sarà ripagato in tariffa, ma in ogni caso il principio e anche gli effetti sono gli stessi. Saranno le prossime generazioni di consumatori a dover fronteggiare costi energetici superiori a quelli che avrebbero pagato e a dover subire gli effetti di scelte politiche compiute dall’attuale generazione (sia l’incentivazione alle fonti rinnovabili che l’imposizione fiscale non sono condizioni piovute dal cielo ma decise in autonomia dallo Stato italiano negli scorsi anni). Secondo le prime stime, effettuate da Assoelettrica, immaginando un cap di 9 miliardi di euro alla componente A3 degli oneri generali di sistema e un emissione annuale di bond pari alla differenza, il costo complessivo delle rinnovabili potrebbe lievitare da 220 miliardi a oltre 250 miliardi di euro. E se senza interventi si scenderebbe naturalmente sotto la soglia dei 9 miliardi nel 2027, di fatto con il piano governativo  quella data potrebbe scivolare al 2037. In altre parole, si ritorna alle vecchie abitudini che hanno fatto dell’Italia il terzo Paese al mondo per debito pubblico. Senza che nessuno ne pagasse le conseguenze. Scenario che potrebbe ripetersi anche stavolta, visto che nel decennio compreso tra 2027 e 2037 la classe politica odierna con ogni probabilità sarà in gran parte uscita di scena e in ogni caso il ricordo del dibattito attuale sarà troppo sbiadito per attribuire responsabilità chiare.

Anziché risolvere i problemi di oggi facendo pagare il conto alle generazioni future, occorre lavorare per trovare una soluzione nel quadro finanziario attuale. Ad esempio, anziché sottrarre risorse alla manutenzione delle Ferrovie (per coprire le minori entrate dell’IMU), perché non tagliare i regimi tariffari speciali di cui godono? Oppure ridurre le esenzioni per le reti interne di utenza (come suggerisce l’Autorità dell’Energia)? O ancora permettere a Terna di accelerare al massimo i tempi per il raddoppio del collegamento con la Sicilia, che da solo vale circa un miliardo in termini di maggiori prezzi (che oggi vengono scaricati sul Prezzo unico nazionale di Borsa, cioè su tutti i consumatori, da Bolzano a Caltanissetta)? Senza parlare della necessità di continuare sulla strada della liberalizzazione, innescando una concorrenza reale nella vendita alle famiglie e alle piccole e medie imprese. Certo, tutte queste scelte possibili, alle quali altre possono aggiungersi, sono più faticose e incerte e creano scontento oggi e non tra 15 o 20 anni. Ma eviterebbero di entrare in conflitto con la storia personale di un Presidente del Consiglio considerato serio e affidabile, che ha promesso di non passare più la palla avvelenata delle difficoltà del presente a chi non ha oggi una voce per respingerla.

Un caro saluto e in bocca al lupo,

Stefano



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