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Quanto pesa la cooperazione con la Russia sugli accordi ibridi con l’Iran

L’Iran continua l’arricchimento, gli europei induriscono la posizione, gli Stati Uniti cercano una quadra pragmatica, Israele mette in guardia sulle relazioni Teheran-Mosca. Il dossier è complicato dal ruolo della Russia: l’Ecfr ha un’idea di policy

“L’Iran ha continuato ad aumentare il suo programma nucleare a un livello allarmante, chiaramente al di là di ogni credibile giustificazione civile, e non ha mostrato alcuna volontà di attuare gli impegni di trasparenza stabiliti nella Dichiarazione congiunta concordata con l’Iaea”, scrivono gli E3 nello statement depositato per la riunione del Board of Governors dell’Agenzia internazionale per il nucleare — l’organo di controllo delle Nazioni Unite. Gli E3 sono i tre Paesi europei — Francia, Germania e Regno Unito — che hanno sottoscritto il Jcpoa, l’accordo del 2015 con cui Teheran aveva accettato il congelamento del suo programma nucleare. Le violazioni di cui parlano sono quelle legate al successivo naufragio del Jcpoa dopo la decisione unilaterale dell’amministrazione Trump di uscire dall’intesa, nel 2018.

Il Jcpoa è naufragato

Da sette anni, né gli E3, tanto meno gli altri due firmatari, Cina e Russia, sono riusciti a tenere in piedi l’accordo in modo funzionale ed efficace. Il Jcpoa è in vigore, ma non funziona né sul piano del contenimento del programma iraniano, né su quello dell’eliminazione delle sanzioni internazionali — perché gli Usa hanno re-introdotto unilateralmente le proprie misure, comprese quelle secondarie che rendono praticamente chiunque sanzionabile per le relazioni con Teheran e gli europei non vogliono rischiare (mentre cinese e russi se ne infischiano apparentemente ma mantengono attive linee commerciali soprattutto informali). 

La presa di posizione degli E3 è dura perché gli iraniani non stanno collaborando sui processi di ricomposizione del Jcpoa che l’Ue (soprattutto) e gli inglesi (in parte molto minore) hanno cercato di rivitalizzare sull’onda di una volontà dichiarata dell’amministrazione Biden. Le trattative hanno avuto alti e bassi, in alcune fasi una rinnovata intesa sembrava perfino vicinissima, ma attualmente pare che le cose di stiano muovendo differentemente. È possibile che Usa e Iran, gli unici due attori con reale capacità di incidere sulle dinamiche del dossier, trovino una forma differente di sistemazione attraverso un patto informale che renderebbe nei fatti il Jcpoa una formula quasi superata.

È possibile che l’alert europeo rientri in queste dinamiche, e per tenere vivace la questione nucleare iraniana nonostante l’accordo ibrido Washington-Teheran, e per mandare un messaggio di parziale scontento su di esso (che nei fatti rappresenta un superamento anche del ruolo dell’Ue).

Cosa c’è in ballo adesso

L’amministrazione Biden ha concluso nei giorni scorsi un accordo con l’Iran per il rilascio di cinque cittadini americani detenuti nel Paese. In cambio, sono stati autorizzati il trasferimento di 6 miliardi di dollari di fondi iraniani congelati dalla Corea del Sud al Qatar e la liberazione di cinque prigionieri iraniani. Secondo i termini dell’accordo, il denaro, proveniente dalle entrate congelate delle precedenti vendite di petrolio iraniano, sarà inviato alla banca centrale del Qatar e — in deroga alle sanzioni — potrà essere utilizzato per l’acquisto di beni umanitari per l’Iran. In preparazione all’accordo, il mese scorso quattro cittadini statunitensi detenuti dall’Iran sono stati trasferiti dalla prigione agli arresti domiciliari, mentre il quinto detenuto era già agli arresti domiciliari.

Secondo alcuni osservatori che ragionano sulle dinamiche in corso in modo informale, quanto sta accadendo è già parte di un “mini-accordo”’ di cui si parla da diversi mesi — anche se le conversazioni sarebbero segrete e oggetto di varie smentite. Con esso gli Stati Uniti si assicurerebbero una riduzione nelle procedure di arricchimento dell’uranio da parte dell’Iran a percentuali non oltre il 60 per cento. Teheran starebbe rallentando l’arricchimento, ma le percentuali sarebbero molto distanti da quelle connesse dal Jcpoa, ma lontane dal livello militare. E poi forse gli Usa otterrebbero anche qualcosa sulle relazioni con Mosca. Si tratta di realpolitik, visto che ormai Teheran non accetterebbe di bloccare il processo avviato, e dall’obiettivo di smantellamento e denuclearizzazione si passa a un tema di controllo e gestione della fase pre-atomica.

Cosa dicono gli alleati americani

Se gli europei che si potrebbero sentire esclusi dalle conversazioni irano-americane sono uno degli effetti da gestire, altrettanto lo sono le reazioni degli alleati regionali iraniani. Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti sono in una fase ibrida delle relazioni con l’Iran, e favorevoli a forme di normalizzazione pragmatica. Israele differentemente tiene il pugno duro, anche perché accusa i Pasdaran iraniani di fomentare le problematiche interne al Paese, finanziando le istanze palestinesi e creando problemi via Hezbollah ai confini libanesi e siriani.

Pochi giorni fa, David Barnea, il capo del Mossad (i potentissimo servizi segreti esteri israeliani), ha pubblicamente detto che l’Iran intende fornire alla Russia missili a corto e lungo raggio oltre ai droni (quello che da mesi la Russia sta usando per colpire le città ucraine). Secondo Barnea, la Federazione Russa in cambio dell’aiuto nell’aggressione ucraina potrebbe trasferire all’Iran armi che potrebbero “mettere a repentaglio l’esistenza di Israele”. È una frase a effetto che può colpire parti di establishment ed elettorato statunitense, sempre interessate al mondo ebraico (soprattutto in vista di Usa2024).

Il capo del Mossad ha citato cinque ragioni per non riporre eccessiva fiducia nell’Iran, di cui le relazioni militari con la Russia sono la prima. Poi ci sono: la normalizzazione interessata con Riad, la repressione delle proteste dell’anno scorso (proteste che per altro, nonostante una minore copertura da parte dei media stanno continuando); l’aumento delle esportazioni di petrolio (verso la Cina) che migliora la bilancia dei pagamenti; la diplomazia degli ostaggi (sottintendendo che con quella ha ricattato l’amministrazione Biden).

Sganciare Teheran da Mosca

La valutazione di Barnea è certamente informata, anche se veicolata con un interesse diretto nei confronti della Repubblica islamica, che Israele considera un nemico esistenziale. Recentemente il contesto è stato analizzato dall’Ecfr, che ha valutato come l’aumento della cooperazione (in vari settori) tra Mosca e Teheran seguito alla guerra russa in Ucraina sembra destinata a intensificarsi, con implicazioni significative per la sicurezza dell’Occidente.

Questo rafforzamento dei legami tra Russia e Iran — spiegano le coautrici Ellie Geranmayeh e Nicole Grajewsk — rappresenta una minaccia diretta per l’Unione Europea e i Paesi europei, e potrebbe contribuire a: prolungare il conflitto in Ucraina; potenziare il programma nucleare iraniano e destabilizzare il Medio Oriente; compromettere l’influenza occidentale nelle istituzioni di governance globale. Anche per questo, gli Stati Uniti vorrebbero trovare una quadra con Teheran: ma l’ambizione di sganciarlo da Mosca è complessa.

Quello del think tank paneuropeo è un policy paper, ossia un’indicazione ai governi europei e Ue su come affrontare questa situazione. Vengono suggerite misure restrittive e diplomatiche, al fine di mitigare le sfide poste da questa crescente cooperazione e raccomandazioni, tra cui l’implementazione di misure più intelligenti per il controllo delle esportazioni di tecnologie per droni, il mantenimento delle sanzioni nazionali contro l’Iran per droni e missili, e il potenziamento della raccolta e condivisione di informazioni sul trasporto di armi.

Inoltre, secondo l’Ecfr si dovrebbe sfruttare il momento di de-escalation tra Iran, Occidente e i Paesi del Consiglio di Cooperazione del Golfo (GCC) per promuovere azioni diplomatiche più efficaci nei confronti di Teheran. Infine, si suggerisce di presentare un’offerta economica competitiva per ridurre il supporto militare iraniano alla Russia, limitare le attività nucleari iraniane e contrastare gli attacchi all’Occidente in Medio Oriente. Il problema Iran sta aumentando la complessità concatenandosi a quello russo.

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