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Dalla tragedia di Derna speranze di recupero? La sfida esistenziale per la Libia

Le migliaia di vittime della catastrofe nell’est della Libia sono frutto di un fenomeno meteorologico anomalo e di anni di divisioni e lotte intestine che hanno lasciato allo sbando il Paese, i cittadini e le infrastrutture. Le macerie di Derna sono lo specchio della crisi che sta vivendo il Paese

All’indomani della catastrofica tempesta Daniel in cui migliaia di persone hanno perso la vita nella Libia orientale, c’è una complessa rete di colpe da districare. A distanza di giorni, vaste porzioni della città di Derna – dove sono crollate le due dighe che non ha retto alla pressione delle enormi piogge e hanno spazzato via intere porzioni residenziali – sono ancora sommerse e le strade sono piene di migliaia di corpi in decomposizione, sollevando per altro gravi preoccupazioni per la potenziale diffusione di malattie. Decine di migliaia di residenti sono stati sfollati a causa delle catastrofiche inondazioni, lasciando molti a contemplare la perdita della città dei poeti. Un sopravvissuto da Derna commenta: “Da certe situazioni non si potrà mai tornare indietro. Quelle strade erano tutta la mia vita. Conoscevamo ogni angolo della città. Ora non c’è più. E con lei dozzine di persone care”.

L’incompetenza incontra l’incuria: Dighe in disfacimento e infrastrutture in crisi

La portata del disastro è stata esacerbata dall’incompetenza di coloro che gestiscono le infrastrutture critiche sul posto. Derna è una città amministrata a livello locale e sotto l’area di controllo militarista impostata da Khalifa Haftar, signore della guerra di Bengasi, eroe di parte di coloro che si sono opposti alle dinamiche di stabilizzazione avviate da anni dalle Nazioni Unite, capo di un clan che adesso viene portato avanti dai due figli in stile mafioso (racket, rendite dalle risorse locali, traffici, compresi quelli di esseri umani diretti verso l’Italia).

La Libia, una nazione ricca di petrolio, è rimasta impantanata in una crisi per oltre un decennio, a partire dalla rivolta pro-democrazia che ha portato al violento rovesciamento rivoluzionario contro Moammar Gheddafi. Il Paese è stato diviso tra due governi paralleli e deboli, uno occidentale, con sede a Tripoli, e l’altro orientale – su cui Haftar esercita il suo peso attraverso quel controllo politico-militare mosso tramite una milizia forte che si fa chiamare Libyan National Army. Anni di volatilità politica e di conflitti hanno lasciato in uno stato di abbandono e di degrado infrastrutture cruciali, tra cui due dighe obsolete costruite da una società jugoslava. Di più: secondo le prime analisi disponibili, la tragedia poteva essere evitata con un ordine di evacuazione se fosse esistito un sistema di monitoraggio e di gestione delle emergenze. Ma quale autorità avrebbe dovuto dare quell’ordine in un Paese sostanzialmente senza stato?

La lunga strada verso il disastro

Tra il 2011 e il 2014, le preoccupazioni per le infrastrutture libiche erano già emerse, ma il Paese era impegnato ad affrontare un conflitto civile poi durato sei anni, dal 2014 al 2020. Gli scontri hanno ulteriormente danneggiato le infrastrutture: l’assenza di controlli e di gestione, nonché di amministrazione, ha prodotto deterioramenti. Nei tre anni successivi, la frammentazione politica è persistita, impedendo di dare priorità alle importanti esigenze libiche, tra cui quelle infrastrutturali.

La faziosità interna al Paese e le lotte di potere hanno creato le premesse per gli eventi devastanti che si sono verificati. Ormai la Libia è in mano alle milizie, diventate realtà socio-politiche che reclutano i giovani in modo del tutto simile ai clan mafiosi o alle gang sudamericane, ma sono incapaci di programmare un governo del territorio diverso dallo sfruttamento del qui ed ora.

Lo status quo instabile della Libia deriva anche dal ruolo svolto dagli attori esterni nel corso di questo ultimo decennio. L’intervento guidato dalla Nato nel 2011, inizialmente volto a proteggere i civili dal regime di Gheddafi, ha permesso il rovesciamento del rais, ma ha lasciato un vuoto di potere e gli sforzi per la costruzione della pace sono stati vani. Se Paesi come l’Italia hanno sempre lavorato per ricomporre la stabilità – interesse strategico di Roma – altre realtà hanno sfruttato il Paese per proxy war (Turchia, Francia, Emirati Arabi, Egitto) e per attività di destabilizzazione strategica (la Russia).

Una possibilità di riscatto: Una finestra di opportunità in mezzo alla calamità

L’attuale catastrofe offre l’opportunità di un reset nella travagliata traiettoria della Libia. Gli Stati Uniti, con i loro nuovi impegni in materia di aiuti, possono impegnarsi nuovamente e direttamente con il popolo libico. L’Unione Europea sta mobilitando una risposta umanitaria che potrebbe essere il presupposto per qualcosa di più politico. Tuttavia, lo scetticismo dei libici rimane alto: c’è da affrontare come sempre accade la geopolitica degli aiuti (per esempio, la Russia che è presente nel Paese con il gruppo Wagner alleato di Haftar ha già cercato i suoi spazi) e poi c’è da demolire la platea di corruzione politico-sociale che le milizie armate sia in Cirenaica che in Tripolitania hanno costruito.

Una lotta per il denaro e il potere

Mentre la solidarietà e il sostegno si riversano a livello sociale, gli attori che si muovono attorno al potere in Libia potrebbero infatti vedere questa catastrofe come un nuovo, importante episodio della loro continua lotta per la ricchezza e l’influenza. L’afflusso di aiuti solleva preoccupazioni su come saranno gestiti e distribuiti, complicando ulteriormente il percorso della Libia verso la stabilità e la ripresa. Il disastro nell’est della Libia è uno straziante promemoria delle sfide profonde della nazione, aggravate da anni di negligenza, conflitti interni e interferenze esterne.

Derna, storicamente una città unica e cosmopolita, ha dovuto affrontare l’abbandono, le sfide economiche e i problemi ambientali. Nel corso degli anni, è stata un centro di intellettualità, dissenso e opposizione: è poi diventata un campo di battaglia per vari gruppi islamisti, anche i più radiali come lo Stato islamico, da cui è stata liberata dal Mujahideen Shura Council, mentre Haftar si opponeva alle operazioni per ripicca; poi Haftar l’ha riconquista con i metodi brutali della distruzione, senza offrire opportunità ai suoi cittadini messi sotto assedio. I problemi ambientali della regione, tra cui la deforestazione, le piogge irregolari e l’aumento delle temperature dovuto ai cambiamenti climatici, sono stati esacerbati dalle politiche di Haftar, incapace di gestire il territorio controllato. La sofferenza di Derna sarà fa esempio?

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