Skip to main content

Mosca attacca Glencore. E dimostra ancora la sua debolezza

​Sberbank, la maggiore banca russa, si attacca a una fattura da 120 milioni di dollari per tentare di mettere sotto chiave le attività locali del gruppo anglo-svizzero. Segno che le sanzioni fanno ancora male e che senza petrolio Mosca non vive

Una volta si sarebbe parlato di esproprio proletario. E a guardare bene, lo è. Dalla Russia arriva un altro gesto di stizza, di rabbia, di debolezza verso l’Occidente, reo agli occhi di Mosca di aver posto le basi per una disintegrazione sistematica della propria economia, per mezzo di sanzioni sempre più aggressive e stringenti. Al Cremlino sanno fin troppo bene che le entrate della Federazione dipendono essenzialmente dalla vendita di idrocarburi. E con il fianco occidentale ormai completamente, o quasi, sganciato dalle forniture di petrolio o gas, ogni gallone di oro nero in meno (in un barile americano ce ne sono 42) può essere un problema.

E così accade che Sberbank, la principale e più strutturata banca russa abbia deciso di mettere direttamente le mani nelle tasche di Glencore, il gigante anglo-svizzero leader mondiale nel commercio dei minerali. Perché? Semplice, Glencore non avrebbe saldato la fattura a Mosca per la fornitura di petrolio. Per questo Sberbank, che per conto delle big oil russe gestiva i pagamenti relativi agli idrocarburi, ha deciso di bloccare i conti di Glencore in Russia e chiedere presso il tribunale il sequestro conservativo di parte delle azioni di Glencore. E pensare che la cifra attorno alla quale ruota il contenzioso non è astronomica, circa 123 milioni di dollari.

Ma tanto è bastato al Cremlino per usare lo scontro con il gruppo anglo-britannico per far leva e avanzare l’ipotesi, oltre al blocco dei conti correnti, di prendersi tutte le attività locali di Glencore, mettendo così in pratica quella nazionalizzazione coatta finora più strombazzata che altro. Anche se, a onor del vero, quest’anno Mosca ha sequestrato le attività locali di diverse aziende internazionali, tra cui la francese Danone e la danese Carlsberg. Va detto che la stessa Sberbank, è in evidente difficoltà dal momento che da ormai un anno e mezzo l’istituto è pressoché tagliato fuori dalla finanza globale, in quanto estromessa dal circuito Swift. Naturale, quindi, che ci sia un desiderio di rivalsa.

Che le sanzioni contro la Russia e i suoi alleati lo dimostra anche il fatto che stiano comunque facendo il loro dovere, lo dimostra anche la recente reazione dell’India, proprio contro gli Stati Uniti. Nuova Delhi ha infatti chiesto agli Stati Uniti di consentire il rilascio di 26 milioni di dollari appartenenti ad almeno due aziende diamantifere indiane che erano stati congelati proprio a causa dei loro presunti legami commerciali con la major russa Alrosa (la Federazione è il primo mercato globale dei diamanti). Gli asset sono stati congelati all’inizio di quest’anno a causa delle sanzioni statunitensi su Alrosa imposte nell’aprile 2022 dall’Ufficio di controllo dei beni esteri del Tesoro degli Stati Uniti.

Ora, la messa sotto chiave dei beni delle suddette aziende, rappresenta ad oggi la prima misura sanzionatoria conosciuta che va a colpire un’azienda indiana dopo l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia. E soprattutto è il primo vero tentativo, riuscito, di applicare le sanzioni formato extra-large a una delle principali economie globali, l’India per l’appunto.

×

Iscriviti alla newsletter