A un anno dalle ultime elezioni politiche, il prof. Pasquino passa in rassegna quanto messo in campo dal governo. Rapporti con l’Europa, questione migranti, proposte economiche. Un bilancio che può migliorare, secondo l’accademico dei Lincei
Non è l’anniversario di un anno dalle elezioni, ma quello di una vittoria annunciata, magari non con tanta chiarezza e non con un vincitore, chiedo scusa, una vincitrice tanto consapevole delle difficoltà di governare quanto convinta delle sue capacità, della sua superiorità sui competitors (uno dei quali, il capitano Salvini, si affanna pericolosamente, per sé e per la tenuta e operatività del governo).
Un più credibile e affidabile bilancio sarebbe possibile se Giorgia Meloni stessa estraesse dal suo programma quelle che lei riteneva/ritiene priorità. Arbitrariamente, lo farò io. Primo, “in Europa per cambiare tutto”, bilancio: non proprio così. In Europa cercando di mostrare competenza e affidabilità, ma al tempo stesso senza riuscire a comandare al cuore che continua a battere per Orbán, per Vox e per i polacchi. In Europa con Ursula von der Leyen, ma disposta a drasticamente ridefinire la maggioranza che ora la sostiene. In Europa, ma senza riuscire ad attuare il Pnrr, lasciando riemergere la realtà di un’Italia che non riesce mai a rispettare fino in fondo gli impegni presi. Voto tra il 5 e il 6.
Immigrazione: nessuna delle ricette della destra funziona, ma di ricette davvero funzionanti confesso di non vederne… tranne la mia!: provando correggendo riprovando, mai con intenti punitivi che, invece, stanno nel profondo delle viscere di troppi esponenti del centrodestra. Sarò, però, generoso: espulsione dei violenti, no, non fra i migranti, ma fra gli esponenti del centrodestra, loro rieducazione e rinvio al settembre dell’anno prossimo per il ministro degli Interni, i suoi collaboratori, i suoi consulenti.
Economia: le vacche grasse non abitano più qui, ma regalie e esenzioni, tasse basse e piatte, assenza di una concezione di ripresa della crescita dicono che neanche il più bravo, il ministro Giorgetti, presiederà al miracolo economico prossimo venturo, concepibile solo se anche nell’Unione europea faranno la loro comparsa solutori più che abili. Condivisione e compartecipazione sono le parole chiave che il centrodestra non riesce a declinare preferendo sussurrare sovranità e patria. Il patriottismo economico è quasi sinonimo di stagnazione.
Istituzioni: qui l’abbandono della proposta portante è clamoroso. Se è il (semi-)presidenzialismo quello che sta nel programma come modello di governo per garantire la stabilità governativa, ma non l’efficacia decisionale, che dipende dalla qualità dei decisori, il premierato è un tradimento programmatico, peggio poi se fosse una caramella data ad Italia Viva per avere un mucchiettino di voti, pur non sufficienti ad evitare il referendum. Zero.
Sondaggi e previsioni: le mie valutazioni sobrie e informate contano (sic), ma, giustamente, molto di più conta il parere del popolo, oops, degli elettori ai quali, non senza criticarli e senza cercare di fare loro cambiare opinione, mi inchino democraticamente. La presidente del Consiglio continua ad avere un alto, maggioritario gradimento. Il suo partito è cresciuto passando dal 25 per cento di un anno fa a intenzioni di voto intorno al 30 per cento. Questo conta. Gli elettori promuovono Giorgia. Però, si può fare di più, di-verso, di meglio (anche come stile e come rilettura del passato). Studiare.