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Dentro l’Europa bisogna starci, e starci bene. Conversazione con Antonio Tajani

“Non dobbiamo pensare che l’Ue sia rappresentata soprattutto da Francia e Germania. L’Italia è la seconda manifattura d’Europa e per questo dobbiamo farci valere, anche se a volte rischia di essere un carrozzone”. Il primo anno di governo? “Siamo riusciti a dare a livello internazionale un’immagine di un centrodestra di governo serio e solido”. E sulla coalizione c’è “un minimo comun denominatore forte e soprattutto esiste un elettorato che vuole vederci uniti nonostante le differenze”. Intervista di Roberto Arditti al ministro degli Esteri Antonio Tajani

 

 

Dalle sfide per far contare di più l’Italia a Bruxelles al dossier immigrazione fino agli equilibri geopolitici internazionali. E poi ancora un bilancio del primo anno di governo Meloni e il futuro della coalizione. Conversazione a tutto tondo con il ministro degli Affari esteri e della cooperazione internazionale Antonio Tajani.

All’inizio della sua carriera politica lei ha scelto l’Europa, candidandosi al Parlamento Europeo sin dal 1994. Insomma viene proprio da lontano quella sorta di vocazione.

La mia scelta di scendere in campo nelle istituzioni europee non è casuale: fin da giovane, grazie alla mia famiglia, ho fatto esperienze all’estero. Sono cresciuto in un ambiente in cui parlare altre lingue era normale e sono sempre stato consapevole che c’erano molte cose diverse nel mondo oltre a quelle che vedevo dalla finestra di casa mia a Roma. Le mie esperienze mi hanno fatto guardare con molto interesse alle istituzioni europee, luoghi in cui, all’epoca, l’Italia contava poco, e questo mi dispiaceva. Allora ho cercato di inserirmi in questo contesto per far contare di più l’Italia a Bruxelles. A questo obiettivo ho dedicato trent’anni della mia vita politica, e sono felice di averlo fatto.

L’Italia sta vincendo la sfida di contare di più nelle istituzioni europee o c’è ancora molto da fare per raggiungere questo obiettivo? Insomma, come siamo messi lassù?

È una sfida che devi giocare tutti i giorni. È normale che in una realtà dove ci sono 27 Paesi differenti, ognuno cerchi di giocare la sua partita, anche se tutti siamo convinti che senza l’Europa non andremo da nessuna parte perché è inutile nasconderselo, il mondo intorno a noi sta cambiato e grandi player internazionali come Cina, India e Africa saranno sempre più forti.

Dobbiamo essere convinti che dentro l’Europa bisogna starci, e starci bene. Noi siamo parte dell’Europa, anche perché l’Europa affonda le radici nella nostra identità, nella nostra cultura.

Certo, da Roma dobbiamo lottare politicamente e dobbiamo riuscire a costruire dei progetti europei che non siano penalizzanti per l’Italia. Dobbiamo avere più funzionari apicali anche dentro le istituzioni comunitarie, una causa che io ho sposato anche quando sono uscito dopo la mia prima elezione nel Parlamento italiano, quando sono riuscito a far sì che un italiano diventasse Segretario Generale del Parlamento Europeo.

Non dobbiamo pensare che l’Ue sia rappresentata soprattutto da Francia e Germania. L’Italia è la seconda manifattura d’Europa e per questo dobbiamo farci valere. Anche perché il 70% dell’attività legislativa italiana è frutto di scelte che vengono fatte a livello europeo, quindi dobbiamo capire che a Bruxelles si può fare molto per tutelare anche l’interesse di casa nostra.

Però negli ultimi anni, in tutta Europa, si è sviluppato un sentimento critico verso l’Ue che spesso è sfociato in progetti politici. L’Europa ha bisogno di aggiustarsi nel rapporto coi suoi popoli o no?

A volte l’Europa rischia di essere un carrozzone dove migliaia di funzionari, che hanno poco contatto con la gente reale, pontificano sui massimi destini decidendo il da farsi. C’è una sorta di autoconvinzione a livello europeo di rappresentare una élite depositaria di un verbo che non deve essere verificato. Ciò riguarda soprattutto la Commissione Europea, che poi è quella che di fatto esercita il potere d’iniziativa legislativa, che invece il Parlamento non ha. L’Europa non è il palazzo del Berlaymont. L’Europa sono le nostre cattedrali, le nostre Chiese, i nostri cantanti. Dante Alighieri è solo un patrimonio italiano o è un patrimonio europeo? E così vale per Mozart. Siamo il luogo dove si rispettano i diritti umani più che altrove, dove ci sono tante democrazie, dove adesso si riesce a vivere in pace. Questa disaffezione è legata soprattutto alla mancanza di consapevolezza di questo minimo comun denominatore culturale che non cancella il fatto di essere italiani, francesi e tedeschi. Se noi pensiamo che l’Europa sia soltanto regole e l’arroganza di qualche funzionario, è chiaro che nasce un sentimento di ostilità. A volte ce l’ho avuto anche io, quando facevo il Commissario, questo sentimento. Però dopo il coronavirus, l’Europa ha cambiato atteggiamento. Dal rigore è passata alla solidarietà, il Recovery Plan dimostra che c’è un’Europa che sa essere vicina. Questo tema è direttamente connesso alla mancanza di grandi leader europei. La Merkel lo è stata, occorre dirlo. Prendiamo Christine Lagarde. La Bce pensa di affrontare l’inflazione aumentando i tassi di interesse. A mio avviso sbaglia, perché compie una scelta rigorista che favorisce solo la recessione.

Oltre alle questioni economiche, un altro grande dossier, molto attuale, è quello legato all’immigrazione dove ogni giorno c’è una specie di “up and down” tra elementi di sincera cooperazione e contrapposizioni fra Paesi membri. Cosa ne pensa a riguardo?

Purtroppo manca una visione strategica dell’immigrazione, troppi leader europei sono condizionati dalle elezioni nel loro paese e cercano di capitalizzare sulla questione migratoria utilizzandolo come strumento di consenso. Eppure così si perde di vista il fatto di come questo sia un problema di lungo periodo dato che l’Africa avrà 2 miliardi e mezzo di abitanti nel 2050 e i cataclismi naturali stanno sempre colpendo di più il continente con forti periodi di siccità e improvvisi acquazzoni, come si è visto di recente in Libia.

Il nostro compito è di incidere sulle partenze e sulle ragioni di queste partenze. Grazie alla diplomazia, è da 48 ore che non è più arrivato nessuno immigrato a Lampedusa o lungo il percorso del Mediterraneo, data la serie di accordi che abbiamo stretto e su cui stiamo lavorando. È evidente che gli accordi con i paesi frontalieri sono l’unica strada percorribile. Esattamente quello che fece Berlusconi con Gheddafi. Faccio una domanda: era Gheddafi un campione di democrazia? Certo che no. Ma quelli che sono arrivati dopo sono peggio.

Ho vista a New York il ministro degli Esteri della Costa d’Avorio. Mi ha raccontato che sono invasi da migranti del Ciad e del Burkina Faso, dotati di passaporti e visti falsi. Adesso noi li aiuteremo con macchinari e personale esperto per rendere più efficaci i controlli. Questo è il Piano Marshall italiano, aiutarli a crescere e non colonizzarli.

Dal Suo osservatorio privilegiato, ha la sensazione che, in un mondo i cui equilibri geopolitici internazionali sono oggettivamente complessi, i fenomeni migratori vengano utilizzati da alcune grandi potenze come strumento di pressione verso l’Europa?

Non credo a una strategia in questa direzione. Però sicuramente ci sono dei gruppi di pressione, vedi la Wagner, braccio armato della Federazione Russa, che se può occupare uno spazio lo fa. In Niger, ad esempio, non c’è la Wagner dietro il colpo di stato, ma, guarda caso, il giorno dopi i manifestanti per strada hanno la bandiera russa in mano. Wagner riesce ad incidere sulla politica locale dei paesi africani e sugli equilibri militari. Ma questo non si traduce immediatamente in una gestione da parte loro dei flussi migratori.

Come ho già detto l’unico modo per gestire il fenomeno è trovare accordi con i paesi di partenza. Gli Stati Uniti d’America ci insegnano anche che l’alternativa di costruire muri è inutile, dobbiamo usare l’arma della diplomazia e dell’accordo politico. I muri si scavalcano come fanno i popoli del centro America o si passa sotto scavando tunnel come fanno i trafficanti di droga. Certo, la fermezza anche in mare serve. Prendiamo la rotta di Agadez, per fare un esempio. Siamo in Niger e su quella rotta viaggiano i migranti sino al Mediterraneo, gestiti da quei trafficanti che per la stessa via portano armi e droga. Quindi il contrasto a questi criminali è essenziale.

C’è un tema di responsabilità delle classi dirigenti africane? Ricordiamoci che, se guardiamo le risorse disponibili, l’Africa potrebbe essere il continente più ricco del mondo. Anche loro dovrebbero fare di più e meglio. O no?

Il punto esiste, la classe dirigente africana è fortemente inefficiente anche perché in molti casi corrotta, in molti casi pensa al proprio portafoglio e non al benessere dei propri cittadini. Noi stiamo lavorando tanto per contribuire alla formazione delle nuove generazioni di africani anche con molte borse di studio nelle università italiane. Al contrario della Cina, che ha solo interessi economici nell’area, noi abbiamo interesse a costruire un rapporto di amicizia e a stabilizzare politicamente il continente africano. Ad inizio novembre ci sarà una riunione a Roma con tutti i capi di Stato e di governo del continente africano proprio per rafforzare il dialogo e le relazioni tra i nostri Paesi.

Lei è appena tornato dell’Assemblea delle Nazioni Unite insieme alla Presidente Meloni, dove si è respirata un’aria drammatica intorno al dossier sull’invasione russa dell’Ucraina. C’è qualche speranza per una fine del conflitto in tempi ragionevoli o siamo rassegnati a una guerra che tale deve restare a lungo?

Io temo che la guerra durerà, anche se oggi si parla di pace più di prima. Ma parlare è un conto, farla è un altro. Noi sosteniamo tutte le azioni che puntano a questo obiettivo come quelle dell’inviato del Papa cardinale Zuppi o come quella della Turchia sul corridoio per il grano. Lo stesso vale per gli sforzi dell’agenzia internazionale per l’energia atomica con il suo direttore, l’italo argentino Grossi per la centrale di Zaporižžja. Inoltre, tutti i paesi del G7 hanno approvato un documento che insiste sulla necessità che la Cina si attivi per convincere Mosca a tornare sui suoi passi. Ne ho parlato anch’io con i cinesi poco tempo fa a Pechino, insistendo su questo punto.

Per quello che ci puoi dire e raccontare qui, i russi che messaggi mandano in giro per il mondo?

Sono messaggi negativi, Putin si è infilato in un tunnel che pensava di attraversare in pochi giorni e invece si è reso conto che quel tunnel è molto più lungo di quanto pensasse. Il recente rafforzamento dell’accordo di scambio di armamenti con la Corea del Nord evidenzia che la Russia è sicuramente in difficoltà anche sul fronte militare.

Al netto di tutti gli aspetti trattati finora, si avvicinano le elezioni europee. Possiamo dire che sono le più importanti di sempre?

Certamente sono importanti per capire quale percorso l’Europa debba seguire, in particolare se guardiamo alla politica economica e alla lotta al cambiamento climatico. Prendiamo quest’ultima e domandiamoci: che tipo di strada vogliamo intraprendere? Ideologica o pragmatica? Per noi è evidente come il contrasto al Climate Change debba essere indissolubilmente legato alla crescita, tutelando il nostro patrimonio naturale e nello stesso tempo considerando la questione sociale. L’economia verde può essere una grande risorsa, una grande opportunità anche per l’industria. Ma l’industria e l’agricoltura devono essere messe nelle condizioni di competere.
Facciamo un esempio: si è deciso di bloccare la produzione di motori non elettrici nel 2035, e ciò provocherà in Italia la perdita di circa 70.000 posti di lavoro. Noi avevamo avanzato una proposta alternativa, invece di cancellare del 100% le emissioni di CO2 provocate dai motori non elettrici, si sarebbe potuto ridurre del 90%, lasciando con quel 10% la possibilità alle aziende del settore automobilistico di poter lavorare avendo un periodo di transizione più lungo. Insomma, una visione che combini la lotta sacrosanta al cambiamento climatico, ma che tuteli anche il nostro sistema produttivo. Come dicevano i romani, in medio stat virtus.

Siamo ad un anno dalle elezioni che vi hanno portato al governo. Facciamo un bilancio.

Il bilancio è assolutamente positivo. Tuttavia questo non è un punto d’arrivo, ma di partenza. Abbiamo altri quattro anni di legislatura davanti. Al momento penso si possa affermare con grande onestà che siamo riusciti a dare a livello internazionale un’immagine di un centrodestra di governo serio e solido: nelle relazioni con gli Stati Uniti e con l’Europa, tornando ad essere protagonisti nei Balcani e nel continente africano, rafforzando il rapporto con l’India e anche la Cina. Dall’altra parte, però, dobbiamo essere chiari, la situazione economica non è facile. L’inflazione si sta mangiando tutta la nostra crescita e questo si riflette per i cittadini sul caro energia, sulle bollette, sulla benzina.
Per questo abbiamo concentrato tutti gli sforzi, e così faremo anche con la prossima finanziaria, per difendere il potere d’acquisto di stipendi e pensioni. Il taglio del cuneo fiscale si è rivelata una scelta giusta, e ora dobbiamo andare ad abbassare le tasse sulle tredicesime e sugli straordinari. E dobbiamo farlo anche sui premi di produzione straordinaria per medici e infermieri, perché abbiamo l’urgenza di tagliare le liste d’attesa garantendo più personale negli ospedali. Va però ricordato come le esportazioni stanno aumentando (ad eccezion fatta verso la Germania).

Ecco, però in questo quadro c’è un aspetto da tenere in considerazione: le forze al governo sono tre, e sono diverse.

È così. Ciò che posso dire è che per noi di Forza Italia la priorità è la lotta alla pressione fiscale. Vogliamo meno Stato e più impresa in economia. Guardiamo molto alle pensioni, ma al contempo anche ai futuri pensionati, ai giovani, e questa è una sfida importantissima perché ad oggi non sappiamo se il sistema previdenziale potrà reggere.
Poi dobbiamo fare la riforma della giustizia, che non è soltanto quella penale ma anche quella civile. Le lungaggini burocratiche della giustizia civile, insieme a quelle della burocrazia a sé, portano via miliardi allo Stato.
In questo processo ci impegniamo giorno dopo giorno per far sì che Forza Italia si ponga come una forza moderata di centro capace di diventare l’architrave della politica italiana e non solamente il centro del centrodestra.

Domenica scorsa Salvini convocava il suo popolo nel tradizionale appuntamento di Pontida con Marine Le Pen, mentre Giorgia Meloni andava a Lampedusa con Ursula von der Leyen. Sono due scelte molto diverse che però non hanno impedito di formare una coalizione di governo. Sarete capaci di mantenere la coesione della coalizione?

Io credo che ci sia un minimo comun denominatore forte all’interno della coalizione di centrodestra, e soprattutto esiste un elettorato che vuole vederci uniti nonostante le differenze.
Siamo allineati sui temi centrali: la lotta alla pressione fiscale, mantenere forti le relazioni transatlantiche, volere un ruolo centrale all’interno dell’Europa.

Al contempo governiamo insieme regioni e comuni, quindi c’è un collante nel centrodestra. È chiaro che anche noi vogliamo rafforzare la base elettorale di Forza Italia, ma non rubando voti ai nostri alleati. Il nostro compito è quello di andare a prendere voti nel grande partito dell’astensione, ma anche in quella parte delusa da un Partito Democratico sempre più schierato a fianco del Movimento 5 Stelle: quell’elettorato ex democristiano, ex socialista, ha bisogno di un punto di riferimento.

Ci avviciniamo alla fine della nostra intervista, e non possiamo non dedicare alcuni minuti a Silvio Berlusconi. Forza Italia farà tra pochi giorni una grande manifestazione in Campania.

L’ultimo discorso di Berlusconi lo ha dedicato al futuro. E da qua vogliamo ripartire con questa tre giorni a Paestum (29, 30 settembre, 1° ottobre).
Io penso che i grandi leader non durino soltanto lo spazio della loro vita. Sogni e visioni di Silvio Berlusconi li portiamo sempre con noi. Altrimenti non insisterei tanto sulle privatizzazioni, sulle tasse, sulla riforma della giustizia. Questi sono i pilastri del suo pensiero. Noi ora vogliamo far sì che quella visione della società, quelle scelte, culturali, politiche, strategiche si possano trasformare in realtà. E per farlo abbiamo bisogna di persone: per questo a febbraio faremo il Congresso nazionale di Forza Italia. Ma passeremo anche attraverso i congressi provinciali che non devono essere un rito stanco della vecchia politica, ma devono essere il momento di confronto sui contenuti, la discussione su quello che noi dobbiamo fare per essere un grande partito liberale.

Una battuta finale su questo primo anno di governo con Giorgia Meloni.

Giorgia Meloni, nel libro che ha scritto con Sallusti, ha detto che quando fa i viaggi con me si diverte. In realtà mi diverto pure io perché essendo romani tutti e due siamo in grado anche di capire le battute uno dell’altro. Scherzi a parte, ho avuto tanti confronti con lei, abbiamo in passato anche litigato. Però la trovo una persona leale, e siccome io sono altrettanto leale, ci troviamo bene, fermo restando che lei è di Fratelli d’Italia ed io di Forza Italia.

(Intervista al ministro degli Esteri Antonio Tajani di Roberto Arditti per la rassegna Rapallo Protagonisti, Rapallo (Ge), 23 settembre 2023)

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