I problemi ci sono, è evidente. Ma la soluzione ai problemi odierni dell’Italia non può essere un nuovo governo. L’Italia non è nelle condizioni drammatiche del 2011. E poi c’è la politica
I problemi ci sono, è evidente, ma non è realistico pensare che la soluzione ai problemi odierni dell’Italia sia né possa essere un nuovo governo tecnico. I problemi sono noti. Il primo è rappresentato dal debito pubblico, il più alto d’Europa. Debito che la nota di aggiornamento al Def (Nadef) appena licenziata dal governo Meloni prevede al 140,1% del Pil nel prossimo anno e che quest’anno calerà di un misero decimale. Significa che il governo si appresta ad approvare una legge di bilancio prevalentemente a debito ed è questo che allarma gli osservatori e i mercati internazionali. Il Financial Times è stato lapidario: “La luna di miele è finita… La legge di bilancio di [Giorgia] Meloni metterà alla prova l’instabile relazione con gli investitori”.
Più dello spread con la Germania, che a causa della recessione non rappresenta più un indicatore oggettivo, ad allarmare sono i tassi sui nostri titoli di Stato confrontati con quelli degli altri paesi europei. I tassi italiani sono i più alti, più alti persino di quelli greci. Questo significa costi ulteriori per lo Stato e, dunque, meno risorse a disposizione dei ministri e dei partiti di maggioranza.
Pare chiaro che Giorgia Meloni confidi in un accordo politico con Francia e Germania, da cui si aspetta un occhio di riguardo sullo stato tutt’altro che rassicurante dei nostri conti pubblici in cambio della ratifica del famigerato Mes. Un meccanismo che, sia detto per inciso, ha in sé l’antidoto a eventuali degenerazioni antitaliane. La regola, infatti, è che ogni deliberazione sull’attivazione del Meccanismo europeo di stabilità debba essere presa con una maggioranza pari almeno all’85% dei componenti. L’Italia avrebbe, di conseguenza, il diritto di veto su eventuali decisioni non gradite.
La situazione è tale per cui diversi giornali, a partire da La Stampa, evocano da giorni il fantasma di un nuovo governo tecnico. Si fa persino il nome del presidente del Consiglio: sarebbe Fabio Panetta, governatore designato di Bankitalia. Previsione irrealistica per due ragioni. La prima è che, a oggi, non c’è motivo di credere che l’Italia si trovi in condizioni simili a quelle, drammatiche, del 2011. La seconda ragione è eminentemente politica. Per nascere, un governo tecnico avrebbe bisogno del voto di fiducia della maggioranza dei parlamentari così come tutti gli altri governi. E davvero non si percepiscono le condizioni affinché ciò avvenga. Fratelli d’Italia e Lega non lo voterebbero mai. Così anche Forza Italia, la cui lotta per la sopravvivenza non prevede deroghe all’unità del centrodestra. Di sicuro non lo voterebbero i grillini, ormai ripiegati su una retorica fasciocomunista di aperto conflitto nei confronti delle élite e dei cascami del mondo draghiano. Quanto al Partito democratico di Elly Schlein, la sua retorica non è molto diversa da quella del Movimento 5 Stelle. E anche i dem meno vicini alla segretaria ritengono che dar vita, in nome della stabilità, a un ennesimo governo non votato dai cittadini sarebbe esiziale.
Riassumendo, la situazione è complicata, ma non ci sono né le condizioni finanziarie né le condizioni politiche per evocare la nascita di un governo tecnico. E non c’è dubbio che sia meglio così.