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La lezione di Wojtyla sulla Cina. Il repubblicano Gallagher scrive a papa Francesco

Il repubblicano Gallagher interviene sugli equilibri tra Chiesa e Pechino. Per il deputato americano solo la verità e la franchezza che Woytila dimostrò con i regimi comunisti possono aiutare e frenare l’oppressione religiosa imposta da Xi Jinping

“L’esortazione di Giovanni Paolo II ai fedeli a vivere nella verità e a opporsi all’aggressione ha contribuito a porre fine al regime [comunista]. Diceva spesso queste tre parole: Non aver paura”, ricorda Mike Gallagher, deputato repubblicano dall’ottavo distretto congressuale del Wisconsin, presidente del Selected Committee della Camera sulla concorrenza strategica tra gli Stati Uniti e il Partito comunista cinese.

Gallagher ha scritto un op-ed sul Washington Post invitando papa Francesco a seguire le orme che portarono il suo santo predecessore a fronteggiare il comunismo sovietico, contribuendo in modo sostanziale alla caduta di esso.

”Mentre il Sinodo dei Vescovi si riunisce in Vaticano questa settimana per discutere e consigliare il pontefice, quelli riuniti dovrebbero prestare attenzione all’esempio senza paura di Giovanni Paolo nei loro rapporti con il Partito Comunista Cinese (Ccp). Questo non è il corso che la Chiesa cattolica sembra tracciare”, scrive il deputato americano.

Secondo Gallagher, il mese scorso, in Mongolia, Francesco ha perso l’occasione di parlare contro l’oppressione comunista cinese. Ha esortato i cattolici cinesi a essere “buoni cristiani e buoni cittadini”, ma non ha menzionato la coercizione religiosa guidata dal Partito/Stato, compreso il genocidio degli uiguri nello Xinjiang e la persecuzione in Tibet. Non ha nemmeno chiesto il rilascio di Jimmy Lai, un editore cattolico di Hong Kong, né del cardinale Joseph Zen (91enne).

“Giovanni Paolo capì che il comunismo sovietico predicava un falso vangelo che richiedeva l’accettazione senza domande e l’applicazione dei suoi dettami senza eccezioni. Per mantenere la loro morsa, i leader sovietici hanno seminato invidia, sospetto e paranoia. Temendo il proprio popolo, spesso si rivolgevano alla repressione”, scrive Gallagher.

Tuttavia, papa Francesco non ha ritenuto responsabile il leader cinese Xi Jinping. O meglio, non ha ritenuto opportuno per adesso condannarne gli atti. Dal 2018, tra il Vaticano e il Partito Comunista Cinese c’è un accordo (che va avanti con rinnovi biennali) con il quale la Chiesa in teoria può nominare i vescovi cattolici.

Per il repubblicano, nonostante le violazioni e le menzogne del Pcc, papa Francesco ha esteso l’accordo, sostenendo indirettamente lo sforzo di Xi di controllare la religione in Cina. Solo la verità e la franchezza possono sfidare l’oppressione: è questa la tesi di Gallagher. Come Giovanni Paolo ha fatto in Polonia, può sfidare i valori del Partito in Cina e sulla scena mondiale. “Non è troppo tardi per Francesco per seguire questo esempio e prendere posizione contro l’oppressione”.



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