La strategia del governo illustrata nella Nadef si presenta come un audace tentativo di un atterraggio morbido, un “soft landing” da una fase di alta inflazione, che è contrastata essenzialmente dalla Bce con una brusca restrizione monetaria e del credito. Si tenta di coniugare disinflazione con una ripresa economica sostenuta da aiuti, investimenti e un lento rientro dagli squilibri della finanza pubblica
Legge di bilancio oggi ed elezioni europee domani. Il commento di Paganetto
Che la manovra di bilancio per il prossimo anno fosse molto difficile era evidente da tempo, ma la soluzione approntata dal governo con la Nota di Aggiornamento del Def rappresenta una vera scommessa rischiosa.
Supera strettoie tra l’eccesso di debito pubblico in rapporto al Pil, gli elevati tassi di interesse effetto della restrizione monetaria e un deficit oltre i limiti del Patto di Stabilità con la decisione di derogare fino al 2026 al Patto e sfidare la disciplina macroeconomica della eurozona e la fiducia dei mercati finanziari nel rischio Italia.
Scommette particolarmente su tre fattori: una crescita del Pil reale dell’1,2% in congiunzione con una discesa dell’inflazione (al 2,9% in termini di deflatore), un allentamento della stretta della Bce che porti a tassi d’interesse in ripiegamento e un’attenuazione della disciplina del Patto. Un’attenuazione che appare poco compatibile con un’inflazione lenta a discendere al livello obiettivo attorno al 2% a seguito delle tensioni ancora consistenti nei mercati dell’energia, che tendono a propagarsi all’intera economia e in presenza di disavanzi pubblici consistenti in diversi paesi membri.
Nel dilemma tra aggiustamento e sostegno all’economia, il governo ha scelto il secondo, con un rientro graduale del deficit entro il limite del Patto soltanto nel 2026 (-2,9% Pil), sebbene ritenga di aver mantenuto un equilibrio tra crescita, investimenti e tutela dei redditi delle famiglie, da un lato, e disciplina di bilancio, dall’altro.
Parimenti ha previsto di stabilizzare il debito netto attorno al 140% del Pil nel prossimo biennio, a cui fa seguire un contenimento al 139,6% nel 2026. Il quadro programmatico si discosta per ottimismo da tutte le proiezioni finora fatte dalle maggiori organizzazioni internazionali ed è caratterizzato da grande incertezza sul realizzarsi sia delle ipotesi a monte, che degli obiettivi programmatici.
Già nel Def del 2022 in piena ripresa economica si programmava un rientro del disavanzo nei margini del Patto nel 2025, rientro che col nuovo governo viene rinviato al 2026 con una discesa appena sotto il 3%, e che potrebbe essere ulteriormente rinviato nella Nadef del prossimo anno.
Il Paese non è affatto nuovo a questo genere di rinvii, senza tuttavia raggiungere in contropartita una solida crescita. Quali fattori dovrebbero sostenere l’espansione del prodotto nazionale? L’asse portante della strategia è individuato nella realizzazione degli investimenti del Pnrr soprattutto nei campi dell’innovazione, delle reti infrastrutturali, dei semiconduttori e dei pannelli fotovoltaici e batterie.
Si fa leva sugli strumenti e sulle risorse già esistenti con enfasi sul cofinanziamento con i fondi europei. Al tempo stesso per recuperare risorse e fare un uso strategico della finanza pubblica si prevede un programma di privatizzazioni e di nuove acquisizioni di partecipazioni in settori tecnologici chiave, insieme a una spending review diretta a ottenere almeno 2 miliardi di risparmi.
Il disegno strategico ad ampio raggio si scontra, tuttavia, con l’esperienza del Pnrr di questi anni, costellata da ritardi, progetti poco fecondi, inefficienze, limitata capacità gestionale della Pa ed intralci da regolamentazioni e burocrazia. Per realizzare questo disegno occorrerebbe un radicale piano di riorganizzazione della Pa e delle autonomie sul territorio, passaggi molto ardui e dai tempi lunghi.
Gli altri fattori di crescita sarebbe la ripresa dei consumi interni e dei commerci internazionali. Sul primo si ripone eccessiva fiducia sulla possibilità che in una fase di bassa crescita i previsti aiuti di limitata portata ai titolari di redditi medio-bassi siano sufficienti a indurre le famiglie ad ampliare la loro spesa. Sul secondo, gravano l’incognita della ripresa dell’economia cinese e l’evoluzione del conflitto in Ucraina, non trascurando gli sviluppi dell’economia americana a seguito della stretta della Fed.
Le proiezioni di crescita della Nadef mal si conciliano con le attese del 2021 sull’impatto trainante degli investimenti del Pnrr, impatto che nello scenario peggiore veniva quantificato in un innalzamento del Pil dell’1,5% nel 2024 rispetto all’andamento di base.
Alla luce di questa valutazione e degli obiettivi del governo di un +1,2% di Pil per il 2024 si dovrebbe desumere che in mancanza di queste opere l’economia sarebbe sospinta soltanto dai consumi interni e dalla congiuntura mondiale Ma entrambi non sono così consistenti e in ogni caso sono soggetti a margini d’imprevedibilità. Lo stesso può dirsi sull’allentamento della stretta della Bce e sulla risposta dei mercati finanziari al mantenimento del debito pubblico attorno al 140% del Pil.
La stabile discesa dell’inflazione nell’eurozona verso il 2% non sembra ancora assicurata in presenza di nuovi rincari degli input di energia e materie prime, e di tendenze alla diffusione delle tensioni inflazionistiche attraverso l’intera economia. Lo è garantito ancor meno in Italia, in cui l’inflazione non si è ancora abbassata al livello della media dell’area. Sulla sostenibilità del debito pubblico nel periodo di programmazione pesa, inoltre, l’alea dell’atteggiamento dei mercati verso il rischio rappresentato dalle politiche del Paese. Gli investitori nel debito pubblico sono molto attenti all’insieme delle misure che influiscono sulla capacità del Paese di adempiere agli obblighi derivanti dal debito. Bastano poche mosse finanziariamente poco sostenibili, come eccessi nel welfare e negli aiuti sociali, per provocare crisi di fiducia con conseguenze non facilmente controllabili senza l’intervento della Bce, che sarebbe tuttavia corredato da vincoli sulle politiche di bilancio. Incerto anche il consenso di Bruxelles sullo sconfinamento del deficit oltre i limiti del Patto e sul mantenimento del debito attorno al livello del 140% del Pil per il prossimo triennio.
Gli scenari di sensitività del deficit e del debito tracciati nella Nadef mostrano soltanto lievi peggioramenti di fronte a uno shock da mercati finanziari e da apprezzamento del tasso di cambio. Nondimeno, la variabilità attorno alle proiezioni stocastiche dell’andamento di base è molto ampia per rassicurare sia Bruxelles, sia i mercati di fronte a un livello di partenza del debito attorno al 140% del Pil.
In sintesi, la strategia del governo illustrata nella Nadef si presenta come un audace tentativo di un atterraggio morbido, un “soft landing” da una fase di alta inflazione, che è contrastata essenzialmente dalla Bce con una brusca restrizione monetaria e del credito. Si tenta di coniugare disinflazione con una ripresa economica sostenuta da aiuti, investimenti e un lento rientro dagli squilibri della finanza pubblica. Rari sono i successi ottenuti con queste strategie nel panorama internazionale, perché richiedono un fine bilanciamento delle misure dagli effetti contrastanti e un favorevole contesto economico internazionale. Ma se il governo non avesse successo, sarebbe già un grande risultato se con riforme di sistema ponesse alcune basi di fondo per una crescita sostenuta dopo il 2026.