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La risposta israeliana ad Hamas, contraddizioni fra breve e lungo termine. Scrive Jean

Manca una strategia alternativa per una soluzione a lungo termine della questione palestinese. Vi è poi da considerare che se l’ala oltranzista dei repubblicani di Trump può considerare d’interesse marginale per gli Usa il caso ucraino, così non è per Israele, per il quale sono addirittura più allineati con gli estremisti sionisti che non con la massa degli israeliani. L’analisi del generale Carlo Jean

Molto è stato detto sulle modalità dell’aggressione terroristica di Hamas ad Israele. Con qualche eccezione nel mondo occidentale è prevalsa la condanna della ferocia effettuata nei confronti dei civili, la preoccupazione per la sorte degli ostaggi e la sorpresa sia per il fallimento totale dei servizi d’intelligence e di sicurezza israeliani, sia per la competenza tecnica e tattica dell’organizzazione palestinese. Non solo è stata capace di mantenere il segreto più completo sui suoi piani, ma ha dimostrato di possedere un’eccellente capacità d’informazione e di coordinamento delle sue forze sul terreno. Lo testimonia l’incredulità di molti esperti che abbia potuto pianificare e gestire un’aggressione su scala così ampia senza consistenti sostegni di professionisti esterni.

Risulta, almeno per ora, che pur avendo ricevuto sostegno dall’Iran e dall’Hezbollah libanese, abbia fatto tutto da solo. Non risultano da fonti israeliane segnalazioni di morti o prigionieri non facenti parte di Hamas o della Jihad Islamica. Eppure Gerusalemme avrebbe avuto ogni interesse a farlo, se non altro per diminuire l’aurea di eroismo e di capacità militare guadagnata da Hamas e che sta entusiasmando le folle di vari paesi islamici.

Anche di quelli, come gli Emirati, che hanno firmato gli “Accordi di Abramo” o dell’Arabia Saudita che si apprestava a farlo, segnando un’importante normalizzazione dei rapporti fra Israele e il mondo arabo, che rappresentava, in un certo senso, un’alternativa agli accordi di Oslo e alla formula “due popoli due Stati”.

Quale che sia la risposta israeliana all’attacco di Hamas, anche questa seconda politica di normalizzazione della situazione in Palestina è praticamente fallita, malgrado le pressioni che Washington sta esercitando perché non vengano interrotti i negoziati al riguardo. A parte l’esistenza di una certa stabilità nei rapporti fra Israele e i Palestinesi, gli “Accordi di Abramo” si basavano sulla constatazione di un’assoluta superiorità militare israeliana e su di una ridotta capacità dei nemici interni ed esterni di Israele di provocargli danni rilevanti.

In altre parole, sull’esistenza di una dissuasione a favore di Israele e sulla capacità di rispondere rapidamente e completamente a ogni attacco. Tale situazione è scomparsa. È estremamente difficile che possa essere ripristinata. Lo è soprattutto perché richiede una terribile reazione israeliana contro Hamas, con un attacco terrestre che provocherà decine di migliaia di morti palestinesi. Non solo provocherà la fine del sostegno quasi unanime che Israele ha ottenuto da gran parte della comunità internazionale, ma anche la fine della passività finora dimostrata dagli arabi-israeliani e dagli abitanti della Cisgiordania. Renderebbe impossibile la soluzione del problema del Medio Oriente basata sugli “Accordi di Abramo”.

D’altronde, la reazione israeliana non può essere limitata. Prioritario è il ripristino di un certo grado di dissuasione, anche ai fini del consenso di qualsiasi governo futuro israeliano. Israele, in particolare, non può essere limitato nella sua reazione dal ricatto degli ostaggi. Solo un governo di completa unità nazionale può decidere di non tener conto della loro salvezza, beninteso dopo una prima proposta di scambio con prigionieri di Hamas sulla base di 1:1. Non può permettersi di perdere tempo anche perché il sostegno dell’opinione pubblica interna e internazionale è destinato inevitabilmente a diminuire. Non può cedere a ricatti, come Hamas certamente spera.

Il ripristino della dissuasione è indispensabile anche per la vita degli israeliani, è quindi contraddittorio – data la ferocia della reazione israeliana che essa richiede e forse anche la sua durata – con il “salvataggio” degli “Accordi di Abramo”. Pensare a un recupero di Oslo è pura fantasia. Dopo aver sgomberato Gaza, con i bei risultati che si sono visti, sarà difficile che Israele liberi altri territori per il rischio che diventino covo di terroristi.
Manca una strategia alternativa per una soluzione a lungo termine – cioè ad avvenuta vendetta israeliana – della questione palestinese. Vi è, infine, da considerare che se l’ala oltranzista dei repubblicani di Trump può considerare d’interesse marginale per gli Usa il caso ucraino, così non è per Israele, per il quale sono addirittura più allineati con gli estremisti sionisti che non con la massa degli israeliani.



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