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Sinodo, è l’unità dei cristiani l’incubo dei tradizionalisti

La sinodalità di cui oggi si parla per la Chiesa cattolica non intende opporre una nuova lettura ideologica delle verità di fede, ma farle incontrare nella realtà storica, come gli uomini d’oggi le capiscono ora, in diversi contesti storici e culturali. È il tradizionalismo il vero nemico dell’unità. Così la luna dell’unità sinodale dei cristiani poteva restare schiacciata dal dito dei tradizionalismi, con le loro piccole diatribe

La storia del sinodo sull’Amazzonia non è passata invano e così Francesco ha, opportunamente, deciso che i lavori del sinodo in corso, quello sulla sinodalità, si svolgano a porte chiuse (entro certi limiti). La scelta appare saggia proprio per quanto ha insegnato il passato: un grande evento ecclesiale, le cui conseguenze ancora non sono determinate ma riguardano il polmone del mondo, fu ridotto da influenze mediatiche a dettaglio: “Il sinodo sull’Amazzonia legittimerà il matrimonio di alcuni preti?” (Come già accade per i preti cattolici di rito orientale).

Così l’attenzione del mondo fu sottratta alla luna e concentrata sul dito. Ma il punto cruciale dei lavori sinodali in corso a Roma, la luna, rimane evidente, nonostante anche questa volta si sia tentato di trasportare l’attenzione sul dito che la indica. E la luna è l’unità dei cristiani, con il loro centro di coordinamento, non di comando, a Roma.

Alla veglia di preghiera per il sinodo, presente il papa, infatti c’erano tutti: l’arcivescovo di Canterbury, primate anglicano, il patriarca ecumenico di Costantinopoli, massima espressione della famiglia ortodossa, e poi vescovi di altre denominazioni, luterani ad esempio, ma anche inattese presenze dell’oriente non cattolico. Rappresentavano dunque tante  famiglie cristiane che oggi sono divise. Ciò significa che c’erano le Chiese che seguono i deliberati del Concilio di Calcedonia e quelle che non li seguono, quelle protestanti, quelle ortodosse. Il loro convergere a Roma per l’apertura del sinodo ha indicato una strada nuova rispetto a quella indicata tanti secoli fa da Costantino: non un centro di comando unificante e imperiale, ma un luogo di coordinamento, di incontro per i diversi cristiani nella loro fraterna unità che non omologa, ma esalta l’incontro perché ritiene ricchezza la diversità.

A ostacolare questo processo “ecumenico” di unità, non unificazione e non contrasto, non può che esserci una vicendevole esaltazione dell’incompatibilità delle rispettive tradizioni. È il tradizionalismo il vero nemico dell’unità. Così la luna dell’unità sinodale dei cristiani poteva restare schiacciata dal dito dei tradizionalismi, con le loro piccole diatribe: la Chiesa di Roma farà come i protestanti, sull’ordinazione delle donne? O farà come come gli ortodossi sul matrimonio, offrendo una seconda opportunità? È proprio la storia del dito e la luna.

Il dito, a chi guarda male, nasconde la luna. Ma la sinodalità di cui oggi si parla per la Chiesa cattolica non intende opporre una nuova lettura ideologica delle verità di fede, ma farle incontrare nella realtà storica, come gli uomini d’oggi le capiscono ora, in diversi contesti storici e culturali. Un impero ideologicamente “progressista” non sostituirà un impero ideologicamente “tradizionalista”, perché sempre Chiesa imperiale sarebbe. E una Chiesa imperiale non è sinodale. Ma una Chiesa che diviene sinodale per sé, al proprio interno, si apre naturalmente alla sinodalità con gli altri cristiani e questo non potrà più chiuderla al resto dell’umanità.

Ecco allora la vera posta in gioco del sinodo sulla sinodalità: un’altra globalizzazione è possibile, e questa globalizzazione è poliedrica, non rende tutti uguali agli altri come i punti di una sfera, ma tutti fratelli dell’altro come i lati di un poliedro ( è una vecchia immagine cara a Francesco): la Chiesa riscoprendosi cammino che si fa insieme al proprio interno (questo vuol dire sinodo) lo propone a tutta la cristianità, per cambiare il mondo.

Così il papa diverrebbe davvero, come ha detto Francesco al 50esimo anniversario del Sinodo qualche anno fa, nel 2015, non il vertice alto, ma il vertice basso della piramide, quello dove tutto si incontra, perché lì lui presiede nella carità.

La disponibilità di tanti rappresentanti di Chiese cristiane a raggiungere Roma per l’apertura dell’assemblea sinodale non conta? Non è riconoscimento? Riconoscimento nella fraternità, non nell’annessione. Al fondo di questo c’è un riconoscimento che i tradizionalismi non possono accettare. Lo possono però ostacolare, proponendo la propria integralità, indisponibilità. Ecco allora che il rischio di ripetere quanto accaduto con il sinodo sull’Amazzonia era evidente: un simile percorso, che avvierebbe un cammino che cambierebbe il mondo, messo a rischio dalla discussione sulla liceità di benedire due persone, se davvero chiedessero a Dio di essere aiutate nel loro cammino, quello a loro possibile. Eh sì, perché non c’è sinodalità ideologica, la sinodalità richiede il discernimento, che non si fa sulle idee, ma sulle esperienze.



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