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Africa e Anglosfera, la rivoluzione copernicana di Meloni. Parla Sapelli

Stati Uniti e Regno Unito interlocutori privilegiati dell’Italia anche in vista del Piano Mattei. Per arrivare alla revisione del Patto di stabilità serve lavorare sul rapporto italo-francese. Conversazione con Giulio Sapelli, professore alla Statale di Milano

La scommessa di Giorgia Meloni sull’Africa parte da un punto fermo: “Va aiutata non con la carità, ma con lo sviluppo e gli investimenti”, ha detto il presidente del Consiglio. Sono le basi sulle quali verrà costruito il Piano Mattei, la cui presentazione è stata rinviata all’inizio dell’anno prossimo alla luce del contesto internazionale aggravato dalla crisi in Israele. Nei giorni scorsi Meloni è stata in Congo e in Mozambico per ribadire la sua linea programmatica. “Il Congo è il cuore della questione africana, senza contare che con quel Paese l’Italia ha un rapporto pluridecennale. L’orientamento di Meloni è giusto e va perseguito con determinazione”. A dirlo a Formiche.net è Giulio Sapelli, economista, esperto di dinamiche internazionali, docente alla Statale di Milano e presidente della fondazione Germozzi.

Come rafforzare rafforzare la collaborazione con un Paese come il Congo considerando anche le forti instabilità interne?

L’Italia potrebbe giocare un ruolo importante sulla mediazione tra Regno Unito e Francia per ridare stabilità al Paese. Superando le divisioni e le guerre intestine il Congo può davvero rappresentare un partner di primo piano per il nostro Paese. Considerando anche il fatto che la nostra relazione pluridecennale e che gran parte dei corpi armati congolesi parla italiano.

In questo contesto si innesta anche il problema della gestione dei flussi migratori.

Se si riuscisse finalmente a ridare stabilità e prospettive a quel Paese si potrebbe arrivare anche a superare il problema della gestione dei flussi migratori. Il Congo è grande come l’Europa: potrebbe accogliere milioni di africani in fuga da altre realtà.

Che cosa aspettarsi dal Piano Mattei?

Il presidente del Consiglio sta attuando, con questo piano, ciò che veramente Mattei aveva immaginato: portare il capitalismo in Africa. Ma sarebbe sbagliato sostenere che la politica estera italiana sia sostanzialmente dettata dall’Eni, come qualche sciocco sostiene. Eni ha fatto la politica di Eni, che spesso ha coinciso con gli interessi nazionali. E ha fatto bene l’amministratore delegato Claudio Descalzi ad accompagnare il presidente del Consiglio in Mozambico e Congo. Il Piano Mattei, così come è stato immaginato dal governo, poggia su una prospettiva a più largo spettro che in qualche misura permea tutta la visione di Meloni in politica estera. Rafforzare il partenariato italiano con l’Africa nella cornice dell’Anglosfera: una rivoluzione copernicana che pochi hanno colto.

A proposito di politica estera, qual è la sua valutazione sull’operato dell’esecutivo a poco più di un anno dal suo insediamento?

Penso che questo esecutivo abbia sancito una svolta epocale nei rapporti fra l’Italia e i partner internazionali. La tradizione diplomatica nostrana ha sempre avuto come riferimento i Paesi arabi. Mentre per Meloni il punto di riferimento principale sono gli Stati Uniti. Anzi, gli interlocutori privilegiati sono Stati Uniti e Regno Unito.

Sul piano europeo, tra i dossier più caldi c’è senz’altro la revisione del Patto di stabilità. Se è vero che la direzione deve essere quella della flessibilità sugli investimenti, quali sponde deve trovare l’Italia per ottenere questo risultato?

La chiave di volta, a mio modo di vedere, è il rafforzamento del rapporto italo-francese. Ma è una partita tutt’altro che semplice. In più, sulla revisione del Patto, occorre sconfiggere un “nemico” ancor più pericoloso. Uno Stato tra gli Stati: il corpo burocratico della tecnocrazia europea. Ma serve una rivoluzione culturale. D’altra parte, senza flessibilità sugli investimenti non si genera crescita.



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