I capi delle diplomazie, Antony Blinken e Wang Yi, si sono parlati per scongiurare la deriva verso un conflitto regionale su vasta scala. Come al solito, dietro alle differenze nei resoconti della conversazione si celano disegni e interessi
Nel round diplomatico mediorientale che Antony Blinken sta guidando per evitare l’escalation regionale connessa alla guerra tra Israele e Gaza, c’è anche un contatto con la Cina. Il segretario di Stato americano ha parlato al telefono con con il capo della diplomazia del Partito/Stato, Wang Yi (che è anche il ministro degli Esteri), per cercare di sensibilizzare l’influenza di Pechino sulla crisi e coinvolgerla nel lavorio in corso.
Ci sono 29 vittime americane e almeno 14 ostaggi, e per Washington l’obiettivo è su vari livelli. Il primo è quello di evitare che gli statunitensi rapiti finiscano in video propagandistici usati dai miliziani palestinesi (che ormai per tecniche e modalità, anche di infowar, stanno seguendo gli esempi altamente impattanti in termini psico-sociali dello Stato islamico).
Stesso discorso per i palestinesi con doppia cittadinanza che vivono a Gaza: mediare la loro salvaguardi, possibilmente l’uscita dal caos potenzialmente in arrivo, è fondamentale per evitare che le loro storie diventino un imbarazzo pubblico. E per questo, Washington è in complicato contatto con l’Egitto – che dovrebbe concedere il passaggio al valico di Rafah, nel sud della Striscia.
Poi, più in largo, c’è da evitare un contagio regionale spaventoso. L’assalto israeliano a Gaza può produrre migliaia di vittime, che gli americani – protettori israeliani – dovrebbero proteggere nella narrazione. Si rischiano ulteriori imbarazzi. Inoltre può aprire un nuovo fronte a Nord, con l’inizio di scontri (già avviati in modalità a bassa intensità) con il gruppo libanese Hezbollah. Da qui, i Pasdaran – protettori di Hezbollah e finanziatori di vari gruppi anti-occidentali e anti-israeliani, come Hamas – potrebbero agire.
Un coinvolgimento iraniano sarebbe deleterio, perché trasformerebbe quello che è di fatto uno scontro interno tra Israele e il gruppo terroristico che controlla la Striscia di Gaza, in una guerra regionale. E il rischi è che la Striscia diventi “l’Afghanistan israeliano”. Qui, il ruolo di Wang è importante, perché la Cina ha particolare influenza sull’Iran, con cui ha mediato la riapertura delle relazioni con Riad.
E si apre un altro punto: nel giro di poche ore, Blinken ha incontrato due volte l’erede al trono saudita, Mohammed bin Salman, che ha avuto una conversazione – prima dell’arrivo dell’americano nel Golfo – con il presidente iraniano, Ebrahim Raisi. L’impegno – a cui partecipano in seconda fila anche gli europei – è totale. Il rischio è che un’escalation a Gaza possa compattare in qualche modo il fronte arabo contro Israele.
Washington ne è consapevole e vuole evitare derive. Il coinvolgimento cinese serve anche a questo. Pechino dovrebbe partecipare al lavoro di coloro che vogliono evitare lo scoppio di una guerra ”su vasta scala” in Medio Oriente, e dovrebbe farlo per due ragioni: la prima, sono gli interessi che la Cina ha nella regione; la seconda, perché la Repubblica popolare deve dimostrare di essere una “potenza responsabile” (qualcosa di simile a quanto succede con l’Ucraina, ma con una minore esposizione cinese su un singolo fronte).
Wang ha avuto una colloquio telefonico anche col suo omologo saudita, e l’inviato speciale cinese, Zhai Jun, si recherà in Medio Oriente la prossima settimana con l’obiettivo di promuovere un accordo di cessate il fuoco nel conflitto tra Israele e Hamas, nonché di favorire colloqui di pace e di proteggere i civili. Questa missione è stata annunciata venerdì dal ministro degli Esteri cinese durante la conferenza stampa con l’omologo dell’Ue, Josep Borrell, al termine del Dialogo strategico Cina-UE.
I due comunicati
Il segretario “ha sottolineato l’importanza di mantenere la stabilità nella regione e di scoraggiare il coinvolgimento di altre parti nel conflitto”, scrive il dipartimento di Stato nel readout della conversazione fornito ai giornalisti. “Entrambe le parti hanno riconosciuto l’importanza di mantenere aperte le linee di comunicazione e di gestire responsabilmente le relazioni tra Stati Uniti e Cina”.
“La Cina ritiene che la salvaguardia della propria sicurezza non debba avvenire a costo di danneggiare civili innocenti, che le opzioni militari non portino a nulla e che rispondere alla violenza con la violenza non faccia altro che creare circoli viziosi. Attualmente, le priorità immediate sono la ricerca di un cessate il fuoco e la de-escalation delle tensioni, per evitare di esacerbare la crisi umanitaria”, ha detto Wang secondo il resoconto fornito dall’agenzia stampa statale Xinhua.
Ci sono differenze nei due ragguagli. Per esempio la decisione di non nominare Israele, e soprattutto il suo diritto all’auto-difesa, da parte della Cina; non sorprendente nonostante i due Paesi abbiano relazioni. Quella è in effetti la linea con cui Pechino cerca differenziazioni dalle posizioni occidentali.
Un passaggio interessante della dichiarazione cinese è questo: “Senza la riconciliazione tra gli arabi e il popolo israeliano, non ci sarà pace in Medio Oriente”, ossia Pechino sembra riconoscere il fondamentale valore dei percorsi di normalizzazione tra Israele e alcuni Paesi arabi che gli Stati Uniti pianificano come vettore strategico in Medio Oriente. Percorsi in parte messi in pausa, come nel caso dell’Arabia Saudita, ma che potrebbero continuare se non esploderà un conflitto regionale ampio.
Su questa scia, la Cina chiede di “convocare al più presto una conferenza di pace internazionale, in modo da raggiungere un ampio consenso”. Poi aggiunge un messaggio seguendo la linea storico-ideologica della non interferenza: “Nell’affrontare le questioni internazionali e regionali, i principali Paesi dovrebbero rimanere obiettivi, equi e calmi, esercitare la moderazione e assumere un ruolo guida nell’osservare il diritto internazionale. La Cina continuerà a promuovere i colloqui di pace in conformità con i principi fondamentali enunciati dal presidente cinese Xi Jinping” ha dichiarato Wang, evocando le “iniziative globali” del segretario cinese.
Wang ha aggiunto che gli Stati Uniti dovrebbero svolgere un ruolo costruttivo nel riportare la questione sul binario della soluzione politica al più presto. “Blinken ha dichiarato che gli Stati Uniti sostengono la ‘soluzione dei due Stati’ per la questione israelo-palestinese, appoggiano le Nazioni Unite per alleviare la situazione e fornire aiuti umanitari e sono disposti a rafforzare la comunicazione e il coordinamento con la Cina”, sottolinea la Xinhua.
Nella resa pubblica della conversazione, la Cina ha anche approfondito i passaggi riguardanti alle relazioni con gli Usa – che State Department ha affidato a una singola riga. Per Pechino, gli svariati contatti recenti di alto livello con gli Stati Uniti hanno avuto successo e hanno portato a un miglioramento delle relazioni bilaterali, ben accolte a livello globale. Per questo, Wang avrebbe ribadito a Blinken la necessità di essere responsabili nell’attuare il consenso raggiunto a Bali – ossia durante l’incontro tra Joe Biden e Xi Jinping in occasione del G20.
Un messaggio da inserire nei lavori per organizzare un faccia a faccia tra i due leader, probabilmente già il prossimo mese, quando si vedranno per il vertice Apec di San Francisco.