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Il vuoto si riempie. Sempre

La storia non è finita. E la politica neppure.
 
L’affermazione del governo Monti non è una opportunità solo per l’economia italiana ed europea. Rappresenta una occasione irripetibile anche per forze politiche che nel corso di questi anni hanno esaurito tutte le spinte propulsive possibili e immaginabili. All’orizzonte non c’è nulla di nuovo e, ancora meno, nulla di convincente. Quel che potrebbe esserci – ma non è detto – è una consapevolezza maggiore. Anzitutto che la politica serve. Se infatti il gabinetto dell’ex presidente della Bocconi sta operando bene con l’obiettivo stringente di reagire ad una emergenza, non vi è dubbio che senza una visione tipicamente politica il rischio di una sbandata sarebbe grande.
 
Un indirizzo quindi è necessario e dovrà esserci. L’azione di supplenza – largamente positiva – del presidente della Repubblica non può durare troppo più a lungo.
Ricomporre è di gran lunga più complicato che scomporre e per ripristinare il tessuto istituzionale, ridotto a brandelli dalle “riforme” della sinistra (Titolo V e leggi sulla Pubblica amministrazione) e dai conflitti della destra, sarà necessario molto, molto, tempo. E tuttavia questa opera dovrà iniziare e per farlo occorre non solo ricorrere alla cultura politica, ma anche alla geografia. Per sapere dove andare, bisogna sapere dove si è. E l’Italia è in Europa, è nel Mediterraneo. Con Cristoforo Colombo ha scoperto le Americhe e con Marco Polo ha percorso la via della Seta.
 
Questa storia non è passata, è prospettiva. Nelle mappe di ieri, di oggi e di domani c’è il senso e la missione di un Paese il cui rating non può dipendere solo dalla misura dello spread. La genialità dei nostri imprenditori e dei nostri studiosi e ricercatori è una formidabile arma di crescita nazionale. Ha bisogno però, questa arma, di essere impugnata da una politica seria e responsabile, capace di indirizzarla nella giusta direzione.
 
Lo smantellamento finale dello Stato è una sensazione che naturalmente va rafforzandosi. Ed è per questo che è urgente la riorganizzazione di forze politiche credibili e radicate. Il rischio è che si confondano gli sprechi (da combattere) con gli asset (da tutelare). In tempi di crisi, crisi nera, la tentazione di vendere tutto ci sta. I professionisti delle privatizzazioni sperano di fare il bis del ‘92-‘93.
 
Dobbiamo evitarlo, se abbiamo a cuore l’interesse nazionale. La crescita dell’economia è legata alla capacità di politica estera e di sicurezza e questa, a sua volta, fonda sulla presenza di solide industrie nazionali (pubbliche o private). Lo Stato di cui abbiamo bisogno deve essere leggero, ma forte. Non solo non vanno perdute le partecipazioni strategiche, ma semmai occorre approfittare dei bassi valori di Borsa per ampliare il portafoglio nelle attività finanziarie considerate fondamentali. La differenza fra un’operazione per il sistema-Italia e una per favorire micro o macro interessi di parte sta proprio nella politica.
 
Quella che oggi non vediamo.
Ma che, in qualche modo, verrà. Comunque.


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