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Così Ue e Taiwan iniziano una stagione di alleanze. Minuto Rizzo racconta il Forum di Taipei

Intervista al presidente della Nato Defense College Foundation e già vice segretario generale: “Taiwan potrebbe avere l’opportunità di lavorare a livello dell’Onu come tappa di avvicinamento al Vecchio continente. In prospettiva collegare la sicurezza di Taiwan con la sicurezza del resto della regione dell’Indo Pacifico”

In Europa Taiwan dovrebbe essere conosciuta di più come Paese, dice a Formiche.net Alessandro Minuto-Rizzo, presidente della Nato Defense College Foundation e vice segretario generale dell’Alleanza Atlantica dal 2001 al 2007, appena rientrato da Taiwan dove ha preso parte al Forum Yushan 2023, assieme ad un ricco parterre: l’ex ambasciatore americano presso l’Onu Kelly Craft, l’ex ministro del Commercio neozelandese Tim Groser e il membro del Parlamento indiano Sujeet Kumar. L’occasione è stata utile per riflettere sulla New Southbound Policy che tocca le operazioni di Taiwan alla voce finanza e assistenza sanitaria. Promosso dal ministero degli Affari Esteri e dalla Fondazione per lo Scambio Taiwan-Asia, il forum si è svolto a Taipei, coinvolgendo accademici, esperti e personaggi politici.

Nonostante la mancanza di relazioni diplomatiche ufficiali, in che modo Ue e Taiwan puntano a costruire un legame solido e atlantista?

Come Paesi europei siamo stati sollecitati dagli americani ad avere un rapporto con Taiwan e anche negli ultimi due vertici Nato sono stati invitati quattro Paesi asiatici, quindi c’è un capitolo indo pacifico che in qualche modo si apre perché interconnesso. Nella settimana che ho trascorso a Taipei per il forum ho incontrato la Presidente della Repubblica Tsai Ing-wen e il Consigliere per la sicurezza nazionale Tsai Ming-yen. Sono molto interessati al Pacifico perché è la zona in cui vivono, ma l’impressione che ho avuto è quella di un Paese che è più avanzato di quello che noi pensiamo.

Ovvero?

Frequento l’Asia da molti anni e ricordo che un Paese come quello da 23 milioni di abitanti ci starebbe bene nel G20: ha un’economia molto avanzata, una società molto civile, ho visto un grattacielo di 102 piani. A Roma dovremmo solo imparare da Taipei: per cui in realtà vorrebbero farsi conoscere di più da noi. Gli americani sicuramente continuano a proteggere Taiwan dalla Cina, questo è assolutamente chiaro. Però in Europa Taiwan dovrebbe essere conosciuta di più come Paese.

In che modo?

Non solo come parte di un problema in un’eventuale guerra con la Cina: fino ad oggi l’opinione pubblica europea ha considerato questo elemento. Da oggi in poi Taiwan vorrebbe presentarsi agli occhi di noi europei come Paese democratico che intende aumentare le relazioni con l’Europa e naturalmente con la Nato. Un capitolo che si apre con delle potenzialità, ma che chiaramente deve essere gestito con delicatezza: non bisogna dare l’impressione ai cinesi che noi siamo diventati improvvisamente alleati di Taiwan mentre ce ne andiamo dalla Via della Seta, né loro devono pensare di stabilire chissà quale patto d’acciaio con noi perché c’è ancora molta strada da fare e poi il problema è che effettivamente loro non sono riconosciuti come Paese indipendente. Questo crea delle difficoltà.

Per modulare un certo avvio di relazioni, Taiwan potrebbe avere l’opportunità di lavorare a livello dell’Onu?

È certamente una questione sottile su cui loro stanno lavorando da un po’. L’obiettivo di questo forum annuale è proprio quello di entrare in contesti multilaterali, soprattutto asiatici, dove la cooperazione regionale può anche avvenire a livelli informali.

Ritiene utile, in prospettiva, collegare la sicurezza di Taiwan con la sicurezza del resto della regione dell’Indo-Pacifico?

L’idea è quella della indivisibilità della sicurezza, quindi non c’è un posto del mondo in cui si fa la terza guerra mondiale mentre in un altro invece si fa la pace: non funziona più così anche perché il mondo è assolutamente interconnesso. Vediamo in questi giorni ciò che sta succedendo nella Striscia di Gaza, dove se il conflitto non si allargherà comunque resterà un drammatico problema umanitario locale. Vediamo che addirittura Joe Biden sarà in Israele per cui è chiaro che se negli stretti di Taiwan scoppiasse una guerra scuoterebbe l’intero mondo e questo ci obbliga a cercare la sicurezza dappertutto, immaginando di allargare il fronte sud.

Nel suo intervento al Forum la Presidente della Repubblica taiwanese, Tsai Ing-wen, ha chiesto uno sforzo verso la pace e la stabilità regionale: un invito diretto all’Ue?

Credo di sì, poi naturalmente c’è un altro tema di cui abbiamo parlato come il concetto di sicurezza che va allargato: siamo portati a sommare la sicurezza all’icona di un soldato con un fucile, ma la sicurezza è anche altro. Il traffico illecito, il terrorismo, la criminalità, le minacce asimmetriche, il cambiamento climatico, l’intelligenza artificiale, la salute: tutti concetti larghi dove Taiwan può avere un ruolo positivo come security provider.


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