Manovra, europee, mercati e opposizione: gli esperti della Luiss avviano le riflessioni sul primo anno di esecutivo targato Giorgia Meloni. Nel 2022 c’è stata una vittoria di una proposta politica che chiude un decennio di sovraeccitazione. La rabbia sociale c’è sempre ma ora è stata incalanata nell’astensionismo
Le priorità sono state individuate e sono essenziali per il Paese, anche se con pochi soldi investiti; alternative a questo governo al momento non ve ne sono; la dimensione europea sarà la vera sfida da qui alle urne del giugno 2024, con il premier che dovrà dire da che parte stare (tra Ue e sovranisti). Il primo anno del governo Meloni al centro di un’ampia riflessione a cura degli esperti Luiss ospitata dalla Stampa Estera di Roma.
La manovra
Secondo Valentina Meliciani, direttrice del Luiss Institute for European Analysis and Policy, il rapporto spesa-sanità scenderà al di sotto della media europea e sta provocando malumore nel comparto. “I punti salienti sono comunque stati previsti dalla prima legge di bilancio targata Meloni, e le priorità individuate sono essenziali per il nostro paese, ma i numeri sono insufficienti. Penso ai tre miliardi per la sanità, che sono pochi, ma non sono mal spesi”.
La natalità era un’esigenza precisa, politica e ideologica, così come il cuneo fiscale. A tal proposito ha spiegato che le ultime manovre dei precedenti governi non avevano migliorato il peso italiano rispetto alle classifiche europee. Nella manovra attuale, aggiunge, c’è un piccolissimo passo alla voce flat tax, con l’accorpamento dei primi due scaglioni con aliquota del 23% per chi guadagna fino a 28mila euro. “Piccolo passo ma concentrato su redditi bassi, è intervento condivisibile anche se con effetti ridotti”.
Nota dolente si ritrova alla voce Pnrr: positivo che abbia un impatto sul Pil potenziale nel medio-lungo periodo, negativo secondo Meliciani il fatto che i capitoli di spesa su sanità e istruzione siano molto bassi, meglio quelli su digitalizzazione e green. “Se saranno in grado di dare un contributo al Pil esso potrebbe crescere negli anni successivi e, quindi, dare vantaggi al rapporto debito/Pil”.
Bilancio politico
La dimensione europea e quella economica è la vera sfida per il governo: un passaggio propedeutico alle riflessioni puramente politiche che possono essere fatte in questi primi 12 mesi. Secondo Giovanni Orsina, direttore della Luiss School of Government, sul fronte interno non ci sono versanti di bufera, ma assoluta tranquillità. “Potremmo dire che c’è un encefalogramma piatto, dato da un lato dalla mancanza di alternative politiche a questo governo e dall’altro dal fatto che Giorgia Meloni è arrivata a governare alla fine di una lunga stagione di protesta politica”. Il riferimento è al 2011, ultimo anno in cui c’è stato al potere un governo di grande legittimazione popolare, fatto cadere per via della crisi del debito.
“Da lì parte la lacerazione del quadro politico italiano, giunto al 2013 con l’affermazione del M5S che immise l’Italia in un lungo circolo di proteste e instabilità elettorale”. In seguito il successo di Renzi, durato solo due anni, nel 2018 l’exploit del M5S con i governi Conte, fino al 2019 quando salì sul trono Salvini. “Un costante ciclo di instabilità elettorale che è sfociato nel 2022 in una vittoria di una proposta politica che chiude un decennio di sovraeccitazione. La rabbia c’è sempre, intendiamoci, ma è stata incalanata nell’astensionismo”.
Secondo il prof. Orsina il ritorno a casa del voto di destra si era già verificato alle Europee del 2019, con gli elettori di Berlusconi che non sono moderati come gli elettori di Meloni, che non sono estremisti. Giorgia Meloni? “È arrivata alla fine del ciclo e ha saputo approfittarne, anche se il Paese resta depresso e sconfortato”. Aggiunge che la sinistra non riesce più a mobilitare le piazze, come dimostra il fatto che in occasione della nascita del governo non si è assistitito ad alcuna manifestazione, come invece facevano con i girotondi contro Berlusconi.
Sulle prospettive europee Orsina spiega che resterà intatta l’ambiguità della premier in vista della prossima commissione Ue: “La non vittoria del centrodestra in Spagna e della destra in Polonia aprono altri scenari, che potrebbero costringere Meloni a immaginare una diversa strategia rispetto a quella in auge fino a sei mesi fa, tarata sul dialogo aperto con Manfred Weber e il Ppe, seppur mediato da Antonio Tajani. Quel che è certo è che, elettoralmemte, in un anno non si è spostato praticamente nulla in Italia e tutti i partiti sono rimasti più o meno ai livelli delle scorse elezioni”.
Politica estera
È pur vero che, dopo gli esecutivi Conte considerati molto vicini alla Cina, il governo Meloni ha posizionato l’Italia da subito al fianco dell’Ucraina, nell’alveo dell’euroatlantismo conservatore, attento alle istanze dell’Indo Pacifico e del versante sud, Africa e Caucaso in primis, come dimostra tra le altre cose la decisione dell’amministrazione americana di confermato il format transatlantico a 5 con Roma dentro. Un segnale significativo rispetto ai partner internazionali.
Secondo l’ex ministro degli Affari europei, Enzo Moavero Milanesi, “Meloni ha allineato l’Italia alle posizioni degli Stati Uniti, questa è stata una delle caratteristiche maggiori, di contro al momento ciò che manca non è la politica estera italiana, che è ben visibile, ma la politica estera dell’Ue”. Il riferimento è ad una unione “deficitaria alla voce sicurezza e difesa, che non fa chiarezza istituzionale tra Commissione e Consiglio, non essendo una confederazione, per queste ragioni è un soggetto che on gestisce in maniera unitaria i pericoli”. Come uscirne? Con una riforma molto radicale, che secondo Moavero Milanesi prende il nome di revisione dei trattati.