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Ecco come l’US Army impara dal conflitto ucraino

L’uso estensivo dei droni nel conflitto ucraino ha spinto le forze armate americane a prendere provvedimenti al riguardo. Aumentando il numero di Uas a disposizione dei soldati, e allo stesso tempo fornendo loro gli strumenti necessari per contrastarli

Il conflitto su larga scala iniziato con l’invasione russa dell’Ucraina nel febbraio 2022 rappresenta un laboratorio perfetto per studiare le evoluzioni e gli sviluppi nelle metodologie di warfare da un punto di vista dottrinario e/o tecnologico. Di questa peculiarità sono ben coscienti al Pentagono, dove hanno fatto tesoro delle dinamiche registrate nei primi 600 giorni di guerra per riformare le forze armate americane, e rendere più adatte a fronteggiare le sfide dei conflitti del ventunesimo secolo. In particolare, una delle dimensioni che hanno attirato la maggiore attenzione è quella degli Uncrewed Aerial Systems (Uas): il loro impiego estensivo nei vari tipi di operazioni militari nella guerra europea ha spinto i vertici militari di Washington a cercare di adattarsi a questa nuova realtà, declinata tanto come opportunità quanto come minaccia.

Nel primo caso, le caratteristiche di flessibilità e maneggevolezza ed economicità dei droni li rendono perfetti per essere impiegati a livello tattico da singole squadre di fanteria all’interno di un ampio spettro di funzioni. Anche per eliminare assetti nemici molto pericolosi come i mezzi corazzati, cosa successa in molteplici occasioni all’interno del conflitto ucraino. Proprio sulla base di queste evidenze il Pentagono ha lanciato circa tre mesi fa il Low Altitude Stalking and Strike Ordnance (Lasso) programme.

L’iniziativa mira a dotare le singole squadre di combattimento interne alle brigate di fanteria di un’arma impiegabile contro carri armati nemici esterni alla linea di tiro o troppo distanti dall’operatore. Il modello di Uas scelto per la fase di testing da parte delle forze armate americane è lo Switchblade 600 prodotto dalla AeroVironment: raggio d’azione di quasi 40 chilometri, 40 minuti di loiter time (lasso di tempo che la macchina può trascorrere in volo prima di ingaggiare il bersaglio indicato) e la possibilità di collegarsi ad altri droni per migliorare la precisione dell’attacco sono le caratteristiche che rendono lo Switchblade 600 ideale per questo tipo di missione. Anche se, dopo la fase di sperimentazione, altre aziende saranno invitate a competere alla conclusione della prima fase del programma. “Ci saranno punti di ingresso per altri fornitori, potenzialmente, perché c’è così tanta innovazione in questo spazio”, ha dichiarato al riguardo Doug Bush, assistente segretario dell’Esercito Usa per il procurement.

Ma così come possono venire sfruttati dalle forze armate americane, allo stesso modo i droni possono essere impiegati dai nemici di Washington per cercare di sconfiggere le sue forze armate in uno scenario di competizione militare. Per questo motivo la dirigenza dell’esercito americano si è adoperata per incrementare le capacità di risposta a questa minaccia da parte delle proprie unità. Su impulso dell’Army’s Joint Counter-small Unmanned Aircraft Systems Office, che sviluppa la risposta dell’esercito ai droni di classe 1, 2 e 3 (i droni di taglia più piccola compresi tra i 250 grammi e le mille libbre di peso), si è deciso di integrare sistemi anti-drone portatili e capacità di guerra elettronica a livello di plotone.

In aggiunta, per il 2024 l’Esercito americano prevede di dotarsi dei sistemi Mobile-Low, Slow, Small Unmanned Aircraft Integrated Defeat System (M-Lids) prodotti dalla italiana Leonardo. Questi veicoli saranno dotati di un cannone da 30 mm e di dispositivi di electronic warfare per contrastare i droni, e saranno integrati nelle divisioni per essere impiegati a livello di compagnia e di brigata.

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