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Attenti al mito dell’euro digitale. Alberto Mingardi (Ibl) spiega perché

Il direttore generale dell’Istituto Bruno Leoni e saggista spiega perché l’avvento della moneta digitale con corso legale è sì una rivoluzione copernicana nei pagamenti e nella percezione dei rischi legati al denaro. Ma non priva di controindicazioni

Il denaro segue la storia. Cambia pelle, assume forme e significati versi. E l’avvento dell’euro digitale, dopo la conclusione della fase di studio da parte della Bce e l’inizio di quella operativa, ne è la prova. Tra due anni, mese più, mese meno, i cittadini europei, potrebbero pagare i propri acquisti con una moneta virtuale ma con pieno corso legale, con cui affiancare il più tradizionale contante e rispondere alla sfida della Cina, che dello yuan digitale ha fatto uno dei suoi obiettivi di politica monetaria. Formiche.net ne ha parlato con Alberto Mingardi, direttore generale dell’Istituto Bruno Leoni e scrittore, co-autore, tra le altre opere, del saggio “Dal sesterzio al Bitcoin. Vecchie e nuove dimensioni del denaro” (Rubbettino).

“Se c’è una cosa che non manca sul mercato è l’offerta dei più diversi strumenti di pagamento digitali: carte di credito, di debito, prepagate, applicazioni le più varie che utilizzano Pc, telefonini, orologi. Non è ben chiaro dunque a quale fallimento del mercato risponderebbe la banca centrale europea”, premette Mingardi. “Certo è che l’euro digitale non è solo una innovazione rispetto al sistema dei pagamenti, ma è semmai un cambiamento potenzialmente radicale della stessa natura del denaro, e sicuramente lo è del rapporto fra banche e banca centrale. Quest’ultima acquista un potere tendenzialmente smisurato”.

Mingardi va in profondità. “Solo tre questioni, fra le tante che solleva l’euro digitale. Primo, la disintermediazione bancaria. Le banche possono fallire, la banca centrale è molto improbabile che fallisca. Se consento alla gente di avere un conto corrente su conto di banca centrale, sto creando un percorso radicalmente alternativo a quello tradizionale. Non appena serpeggeranno paure sul fallimento di una banca, le persone proveranno a spostare risparmi sul conto presso quella centrale. Hai voglia a dir loro che possono depositare solo 3 mila euro o non di più: è evidentemente un equilibrio instabile, perché se le persone percepiscono la banca centrale come più sicura, al primo serpeggiare di dubbi e paure sugli altri istituti lì vorranno spostare i propri quattrini”.

E ancora, “la raccolta tradizionale delle banche commerciali andrebbe in crisi. E la banca centrale sarebbe destinata, in modo più o meno lineare, a diventare il monopolista del credito. In tutto un continente. Con una centralizzazione straordinaria delle decisioni di allocazione del credito, il che significa un potere immenso di pianificare l’economia, al di là del fatto che le imprese restino nominalmente, a questo punto, private. Neanche nei sogni più sfrenati dei socialisti d’altri tempi…”

Secondo aspetto. “La privacy. La Bce dice che non userà i dati personali che le transazioni con euro digitale generano. Ma quei dati esisteranno. E se esistono, a qualcuno viene la tentazione di usarla. Dapprima per nobili fini: l’antimafia, l’antiterrorismo. Poi, chissà. Ed è surreale che partiti che hanno attaccato il limite al contante poi dicano nulla su quella che è, potenzialmente, la fine della possibilità di transazioni anonime. Che non sono solo l’acquisto dell’hashish dal pusher, ma anche la carità fatta senza che si sappia, magari sul sagrato della chiesa, di certo con banconote o monete”.

Ed eccoci al terzo aspetto. “Lo stesso concetto di moneta: che ha delle caratteristiche che ne fanno mezzo di scambio e riserva di valore. Il contante non offre alcuna certezza sulla sua capacità di acquisto futura. Ma offre una garanzia sul valore nominale di ciascuna banconota. 100 euro rimangono 100 euro, anche se domani compreranno meno beni di quanto facciano oggi. Questa certezza scompare con l’euro digitale. Perché in qualunque momento la banca centrale, in relazione a quelle che reputa esigenze di politica monetaria, potrà imporre un tasso d’interesse negativo sulle giacenze. C’era stata la voglia, la tentazione, di obbligare le banche a traslare i tassi negativi loro praticati dalla banca centrale nelle fasi di quasi-disinflazione. Ma, come si è visto, la cosa si è rivelata impossibile”.

Conclusione. “Con l’euro digitale non ci sarebbero ostacoli. Anche il valore nominale dell’euro digitale diventerebbe incerto. Il bello delle cripto valute è che consentono esperimenti simili. Sono però esperimenti privati e limitati a chi sceglie di utilizzarle. E infatti i loro modelli (che tendano a disinflazionare o al contrario che vincolino ad altri parametri la quantità di circolante) le hanno rese, di fatto, degli asset speculativi. Ma che succede se quei modelli si applicano alla valuta a corso legale?”

A questo punto, chiarite le luci e le ombre del progetto euro digitale, resta da capire il timing dell’intera operazione che mira a riscrivere la natura dei pagamenti. La Banca centrale europea si aspetta una fase di preparazione, che precede l’emissione, di circa due anni. “Speriamo che questi due anni consentano un ripensamento e che la Banca centrale abbandoni il progetto. Stiamo mettendo a rischio, in un colpo solo, la privacy e la stabilità del sistema bancario. E perché? Perché si può fare, come sempre quando si assecondano le tentazioni dei pianificatori. La hybris dei banchieri centrali può costarci carissima”.



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