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Su Foreign Affairs, Sullivan presenta la Nuova America di Joe Biden (e sua)

Jake Sullivan, National Security Advisor, US NATO Vilnius.

L’articolo del National Security Advisor richiama i successi ottenuti dall’amministrazione di cui fa parte, e lancia una serie di moniti per il futuro. Con una sfumatura molto programmatica

“Nulla nella politica mondiale è inevitabile”. Si apre così l’articolo pubblicato su Foreign Affairs e firmato da Jake Sullivan, consigliere per la Sicurezza Nazionale all’interno dell’amministrazione presieduta da Joe Biden. Un vero e proprio manifesto politico, dove l’esponente del governo di Washington delinea l’approccio impiegato e i risultati raggiunti dall’esecutivo di cui fa parte, in un momento di cambiamenti epocali e per il sistema internazionale e per la politica estera americana, che deve adattarsi alla “competizione nell’epoca dell’interdipendenza”.

Sullivan rimarca come l’amministrazione Biden abbia dovuto agire “non solo per riparare i danni immediati alle alleanze degli Stati Uniti e alla loro leadership nel mondo libero” causati dalla presidenza di Donald Trump, ma anche “per perseguire il progetto a lungo termine di modernizzare la politica estera degli Stati Uniti per le sfide di oggi”. Concentrandosi su due fattori: riuscire a mantenere i vantaggi fondamentali statunitensi nella competizione geopolitica e riuscire a mobilitare il mondo per affrontare le sfide transnazionali — dal cambiamento climatico alla salute globale, dalla sicurezza alimentare alla crescita economica inclusiva. Per fare ciò, è stato necessario impegnarsi sia sul fronte interno che su quello esterno.

Nel primo caso l’approccio impiegato è quello della cosiddetta “Bidenomics”, dove è stata data priorità al rilancio degli investimenti nell’innovazione e nel rafforzamento industriale per “garantire crescita inclusiva, costruire la resilienza e proteggere la sicurezza nazionale”. Questo ha portato a nuove scoperte nel campo dell’intelligenza artificiale, dell’informatica quantistica, delle biotecnologie, dell’energia pulita e dei semiconduttori, proteggendo al contempo i vantaggi e la sicurezza degli Stati Uniti attraverso nuovi controlli sulle esportazioni e regole sugli investimenti, in collaborazione con gli alleati. Ma allo stesso tempo ha anche ridotto la dipendenza da supply chain vulnerabili e ha rafforzato la base industriale militare del paese secondi la traiettoria del de-risking.

Sul piano esterno invece, la presidenza Biden si è impegnata nel rilanciare la cooperazione tra gli Stati Uniti e i suoi partner internazionali, sia attraverso i canali della Nato che attraverso l’azione bilaterale, capace di portare alla costruzione e consolidazione di alleanze innovative e sistemi mini-laterali come Aukus o Quad. Agendo allo stesso tempo lungo il filo conduttore che cine il quadrante Euro Atlantico con quello e Indo Pacifico. Tutto questo in nome della sicurezza, ma anche della lotta al cambiamento climatico, della gestione dei processi migratori, del contrasto alle malattie, della tutela del fronte delle Democrazie — stabilizzato come cuore della proiezione internazionale statunitense. Invertendo la rotta degli anni precedenti, dove il retrenchment di Washington aveva lasciato vuoti in tutto il sistema internazionale, vuoti che sono stati poi calmati dai regimi autoritari e illiberali.

I risultati raggiunti, sottolinea Sullivan, sono solo un primo passo all’interno di un cambio di marcia per gli Stati Uniti e il mondo. Riforma delle grandi istituzioni multilaterali, approccio condiviso alla gestione dell’Intelligenza Artificiale, stabilizzazione delle aree di crisi e lotta alle ambizioni imperialiste e revisioniste, tramite la diplomazia — fin dove possibile , attraverso lo strumento militare se necessario. Sono solo alcuni dei grandi compiti di cui Washington deve prendersi carico come Paese leader su scala globale, come “numero uno”. Solo così gli Stati Uniti potranno promuovere un mondo libero, aperto, prospero e sicuro, indipendentemente dalle sorprese che si presenteranno. Creando “situazioni di forza”, un termine coniato dall’ex segretario di stato Dean Acheson.

Il consigliere per la Sicurezza Nazionale ritiene che il ruolo globale degli Stati Uniti sia adesso giunto ad una terza fase: dopo quella di competizione ideologica della Guerra Fredda, e quella dell’espansione dell’ordine liberale nel momento unipolare, la fase odierna è segnata dalla competizione in un’epoca di interdipendenza e sfide transnazionali.

E l’esito di questa fase “non sarà determinato solo da forze esterne. Sarà anche, in larga misura, deciso dalle scelte degli Stati Uniti”. Con queste parole significative Sullivan chiude il suo ragionamento. Un messaggio politico, che più che quello di un resoconto dei risultati raggiunti ha il sapore di un programma strategico.

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