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Povertà in Italia, di cosa non tiene conto Istat. Limiti e altre rilevazioni

L’ultima indagine dell’Istat sulla diffusione della povertà nel Paese, riferita al 2022, presenta molti dati, alcune novità e divergenze di andamento tali da richiedere un’attenta lettura e interpretazione per non trarne le consuete deprecazioni sull’avanzamento del fenomeno. Il rapporto della Caritas offre un quadro più completo delle criticità alla base della povertà in Italia, mettendo l’accento sulla scarsa mobilità ascendente per chi proviene da famiglie povere e la povertà intergenerazionale che si trasmette da generazione a generazione

L’ultima indagine dell’Istat sulla diffusione della povertà nel Paese, riferita al 2022, presenta molti dati, alcune novità e divergenze di andamento tali da richiedere un’attenta lettura e interpretazione per non trarne, come di solito avviene nei media, le consuete deprecazioni sull’avanzamento del fenomeno e sulle manchevolezze nelle politiche di contrasto all’indigenza. L’indagine si differenzia dalle precedenti soprattutto per il metodo di esplorazione del complesso fenomeno, che esamina un campione di 32 mila famiglie residenti in Italia secondo diversi criteri.
Fissati i parametri di identificazione del livello critico di reddito sotto il quale si può individuare uno stato di deprivazione, si scende con una precisione maggiore che nel passato nello stimare gli oneri di spesa che una famiglia o un individuo devono sostenere per soddisfare i bisogni primari del vivere, ovvero i consumi di beni e servizi essenziali.

Quindi, si distingue secondo la regione e il comune di residenza, la composizione della famiglia di fatto, lo stato lavorativo dei componenti, l’età, i loro specifici bisogni essenziali, le economie realizzabili a seconda della numerosità e il paese di origine. A ciascuna componente di spesa, definita per quantità, si assegnano valori di costo secondo i prezzi minimi vigenti nei canali distributivi accessibili.

Ne deriva che il livello discriminante sotto il quale si colloca lo stato di povertà “assoluta” varia a seconda delle caratteristiche dei soggetti esaminati, famiglie o individui che siano.
In questa impostazione appare evidente la presenza di un elemento di soggettività nella selezione del paniere di consumi che è ritenuto essenziale secondo lo standard di vita italiano. Quest’ultimo naturalmente non corrisponde se non in parte a quello di altri paesi con differenti redditi pro-capite e differenti bisogni o modi di vita, col risultato che ogni confronto internazionale presenta chiari limiti.

In specie, lo standard italiano non appare il più adatto a misurare la deprivazione di immigrati da paesi del terzo mondo. Il paniere selezionato non include neanche quei servizi pubblici a cui tutti hanno accesso, quali la sanità gratuita, l’istruzione dell’obbligo ed altri aiuti sociali. Né è chiaro se include i compensi derivanti dalla partecipazione all’economia sommersa, che non si traducono in consumi considerati nell’indagine.

L’anno di rilevazione ha anche il suo peso nel valutare l’andamento della povertà. Il 2022 è stato un anno di forte crescita del Pil reale (3,7%) e di aumento significativo dell’occupazione (3,5%), benché il comparto dei servizi, in cui è occupata una buona parte dei soggetti a basso reddito, sia rimasto indietro rispetto a quello manifatturiero.

Il confronto dell’Istat esclusivamente con i dati dell’anno precedente, inoltre, segnala un altro limite nella valutazione, in quanto mostra soltanto l’evoluzione di breve periodo rispetto a un anno, il 2021, fortemente condizionato dallo shock pandemico. Solo quando sarà resa disponibile una lunga serie temporale si potrà vedere se si è in presenza di una tendenza di lungo periodo. In ogni caso, sullo sfondo si osserva che nel 2022 il reddito pro-capite è cresciuto, ma è salito sostanzialmente al livello del 2000 dopo ampie cadute nel corso del periodo.

In contrasto col positivo andamento dell’economia e con la generosità delle misure di sostegno concesse dal governo lungo l’arco triennale della pandemia, dall’indagine risulta che l’incidenza della povertà “assoluta” è aumentata rispetto al 2021 in termini sia di famiglie (8,3% rispetto a 7,7%) sia di soggetti (9,7% contro 9,1%).

Si tratta di 2,18 milioni di famiglie e 5,6 milioni di residenti, che si concentrano particolarmente nel Mezzogiorno, nei piccoli comuni, nelle famiglie più numerose, tra i giovani e i minori, tra i meno istruiti e quelli in cerca di lavoro o che non lavorano e soprattutto tra gli stranieri. L’intensità delle povertà, ossia la misura in cui la spesa mensile delle famiglie sia mediamente sotto la soglia minima, tuttavia, non peggiora ma migliora leggermente (dal 18,9% al 18,2%). Questi contrastanti risultati congiunturali sembrano indicare che non si è di fronte a un’affermata tendenza all’impoverimento, ma che bisogna approfondire l’analisi per capire il reale andamento della povertà “assoluta” degli italiani.

L’Istat attribuisce il peggioramento dell’incidenza al mancato recupero del potere di acquisto a fronte dell’alta inflazione, mentre la contemporanea riduzione dell’intensità suggerisce che l’erosione della capacità di spesa della popolazione meno abbiente non è uniforme. L’allargamento della povertà a livello nazionale è in parte trainato dalla notevole incidenza degli stranieri (34%), una componente nettamente superiore a quella rilevata tra gli italiani (7,4%) e riflesso della scarsa integrazione sociale, nonché della saltuarietà nel lavoro che accompagna la presenza nel Paese di immigrati dalle aree più povere del mondo.

Ad esempio, secondo l’indagine svolta dalla Caritas, per molti giovani immigrati dall’Africa l’Italia non rappresenta il paese dove mettere radici ma semplicemente un punto di assistenza nel passaggio verso altre mete.

L’allargamento della povertà “assoluta” contrasta anche con la stabilità nel 2022 dell’incidenza e della intensità della povertà relativa, che è misurata in termini di disuguaglianza della spesa per consumi tra i vari segmenti della popolazione. La soglia di povertà relativa, che differisce da quella “assoluta” ed è una media unica per tutti, è pari a 1.150 euro, ovvero al livello della spesa pro-capite per consumi applicato a un nucleo di due persone.

La stabilità di questi indicatori di povertà relativa non deve far sottostimare la gravità del fenomeno, perché i valori risultano elevati e superiori a quelli della povertà assoluta. In particolare, quella “relativa” tocca il 14,8% nella popolazione e si colloca per intensità sotto la soglia dei consumi nella misura del 23,4%, con differenze per entrambi gli indicatori tra regioni del Nord e quelle del Sud, dove si annida più povertà.

Una soglia unica non è sufficiente a stabilire chi è da considerarsi povero e chi non lo è, perché in una fascia attorno a quel livello si trovano molti soggetti in bilico tra le due condizioni e per alcuni aspetti non sono paragonabili a coloro che si caratterizzano per consumi molto più bassi.

Nella fascia tra il 120% della soglia e l’80% rientra il 13,6% dei soggetti, una quota troppo consistente, se paragonata col 16,4% complessivo di relativamente poveri, per poter individuare chi è effettivamente indigente. Se si escludono quelli compresi in questa fascia, secondo l’Istat, solo il 5% degli individui risulta “veramente povero”, mentre 81,5% sicuramente non è povero.

Nella realtà, la Caritas nelle sue rilevazioni ha notato che la condizione di una parte di individui oscilla nel tempo tra sopra e sotto lo stato di bisogno, ma un segnale è molto evidente, nello scorso anno le file di attesa per ricevere un pasto e assistenza si sono allungate, con un netto incremento degli stranieri. La guerra in Ucraina ha anche contribuito a incrementare l’arrivo dei rifugiati privi di mezzi.

I diversi aspetti presi in considerazione dall’Istat per caratterizzare la povertà in Italia non colgono tutti i fattori all’origine della disparità di redditi tra soggetti o famiglie. Due studi recenti della Banca d’Italia evidenziano che l’approfondirsi delle disuguaglianze è il risultato della discontinuità del lavoro, della sua bassa intensità, della mancata occupazione, evidente anche nell’ampiezza del gruppo dei giovani Neet piuttosto che frutto delle basse retribuzioni, queste riguardano una quota di lavoratori inferiore a quella della Germania.

Il rapporto della Caritas offre un quadro più completo delle criticità alla base della povertà in Italia. Mette l’accento sulla scarsa mobilità ascendente per chi proviene da famiglie povere, la povertà intergenerazionale che si trasmette da generazione a generazione nel 59% dei casi.

Guarda alla povertà non unicamente economica, quella multidimensionale che tocca anche la sfera psicologica: in particolare, presenza di traumi, assenza di prospettive, sfiducia, contesto di vita familiare e di ambiente, carenza di azioni d’inclusione sociale. Le generose forme di assistenza degli ultimi anni non hanno raggiunto abbastanza i veramente poveri. Ad esempio, solo il 44% di costoro ha beneficiato del Reddito di Cittadinanza, che peraltro è stato percepito da 4,7 milioni di soggetti.

Che nel Paese una parte consistente della popolazione viva in uno stato d’indigenza non vi sono dubbi. Ma sull’attendibilità del suo incremento congiunturale rilevato dall’Istat nel 2022 influiscono alcune incertezze e fenomeni straordinari, come l’aumento dell’immigrazione dall’Africa e da zone di guerra in Europa e Medio Oriente. Soprattutto induce a riflessione il confronto con i risultati delle dichiarazioni fiscali dei redditi nel 2022, secondo cui 16,7 milioni di contribuenti, ovvero il 41% circa, hanno dichiarato redditi inferiori a 15 mila euro, con una media di 7 mila euro, che in termini mensili significa 583 euro. Quasi il 25% sostiene di aver percepito redditi sotto i 7500 euro. Si direbbe un Paese di poveracci, altro che uno del G7!

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