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La Cina parla più apertamente di guerra per Taiwan? Cosa si dice a Pechino

Dal più importante forum cinese su difesa e sicurezza esce una narrazione più spinta contro Taiwan e continua l’impegno per raccontare le iniziative di Xi Jinping al Global South. Anche usando la military diplomacy

“Una volta che il governo cinese sarà costretto a usare la forza per risolvere la questione di Taiwan, sarà una guerra per la riunificazione, una guerra giusta e legittima, sostenuta e partecipata dal popolo cinese […] Una guerra per schiacciare le interferenze straniere”.

Non è tanto che il tenente generale cinese He Lei, ex vice presidente dell’Accademia delle Scienze Militari dell’Esercito di liberazione popolare, abbia usato certi termini domenica, allo Xiangshan Forum di Pechino; il punto è che li abbia usati pubblicamente e che sia ripreso – in video e virgolettati – da media come la televisione CGTN o il giornale Global Times. Ossia dove abitualmente si cerca di spingere per una linea meno dura, perché la narrazione del Partito comunista cinese prevede che l’annessione di Taiwan sia un processo naturale, per volontà dei taiwanesi stessa (volontà che nei fatti è minima, e dunque la forza potrebbe rendersi più che necessaria in futuro, visto il valore esistenziale che Taiwan ha per il partito-stato).

Diversi gli interrogativi. Per esempio: in questa fase di revisione e repulisti che sta coinvolgendo l’Esercito di liberazione popolare – dai vertici a vari ufficiali di diverso grado  – questa forma di comunicazione è parte del rinnovamento? E inoltre, questa nuova comunicazione, più esplicitamente rivolta alla dimensione militare contro Taipei, è indicativa di qualche genere di cambiamento più drastico, oppure è parte del processo con cui Pechino sta costantemente alterando a proprio vantaggio lo status quo sullo Stretto?

Sun Tzu 2.0

Per usare la definizione della Reuters, lo Xiangshan Forum è “il più importante show di military diplomacy cinese dell’anno”, con invitati internazionali, discussioni su tematiche ampie ed eventi verticali. Tra questi, il simposio su Sun Tzu, il generale filosofo cinese autore di uno dei grandi classici dei trattati sulla strategia militare, “L’arte della guerra”. He ha usato l’incontro per aggiornare il pensiero del vate sostenendo che l’arte della guerra è governata da cinque fattori costanti, da prendere in considerazione nelle riflessioni da fare quando si cerca di determinare le condizioni del campo.

Le cinque regole partono dalla Legge Morale, poi c’è quella del Cielo, la terza sulla Terra, la quarta riguarda il ruolo del Comandante e la quinta il Metodo e la Disciplina. A proposito della Legge morale, che per He riguarda per intero la sfera politica, “una causa giusta ottiene un grande sostegno, una ingiusta ne ottiene poco”, quindi quando le truppe combattono per la giustizia, “vincerà colui il cui esercito è animato dallo stesso spirito in tutti i suoi ranghi”, e i coraggiosi non temeranno la morte: una guerra per la giustizia riceverà il sostegno delle grandi masse popolari, che si impegneranno attivamente nella guerra del popolo. Il riferimento alla guerra giusta ricade sull’annessione di Taiwan.

He dice che è necessario sottolineare come l’eventuale responsabilità di aver provocato tale guerra sarebbe interamente delle autorità di Taiwan – che chiama “forze secessioniste e indipendentiste di Taiwan” – e delle forze esterne che interferiscono. Con la guerra, il governo cinese riporterà la pace contro “i testardi indipendentisti taiwanesi”.

Usa-Cina

He ha anche parlato del rapporto Usa-Cina. Secondo lui, sebbene vi siano segnali di uscita dal punto più basso delle relazioni e verso il ritorno alla normalità (affermazioni in ottica di un possibile incontro tra leader tra un paio di settimane), la ripresa dei rapporti militari resterà comunque in ritardo.

Si spera che le forze armate cinesi e americane attuino davvero l’importante consenso raggiunto dai capi di Stato dei due Paesi, dice il cinese, e aggiunge che sono gli Stati Uniti a dover correggersi efficacemente e garantire che non si ripetano azioni provocatorie che interferiscono negli affari interni della Cina, minandone gli interessi fondamentali. Per Pechino, certe azioni sono per esempio i finanziamenti militari americani a Taipei – che stanno aumentando costantemente – o eventi come la visita della Speaker della Camera, Nancy Pelosi, di un anno fa.

“Dovremmo compiere sforzi congiunti per ripristinare le normali relazioni e riportarle rapidamente su un binario sano, contribuendo maggiormente alla pace e alla stabilità mondiale”, spiega il militare. He non è (al momento) un alto rango, e per questo le sue dichiarazioni sono interessanti: primo perché un ufficiale non di livello non parlerebbe così apertamente senza permesso; e poi, allo stesso tempo, perché se certe argomentazioni vogliono essere esposte pubblicamente, allora meglio veicolarle intanto dal basso.

Il forum

C’è poi il contesto a dare risalto ai contenuti. Iniziato domenica, il forum vedrà la partecipazione di svariati Paesi (secondo la statale Xinhua mai così tanti dal 2006, anno di lancio) anche se la super potenza asiatica si presenta senza il ministro della Difesa, che di solito è l’anfitrione di questo evento – la scorsa settimana è stato infatti estromesso dal governo Li Shangfu, il ministro che già da una paio di mesi era stato allontanato dalla sfera pubblica.

La Cina spera tuttavia di utilizzare la manifestazione per promuovere la visione del leader Xi Jinping che ruota attorno alle sue “iniziative globali” su sicurezza, sviluppo e civilizzazione. Piani che hanno come obiettivo diretto l’avvicinare i Paesi in via di sviluppo, il cosiddetto “Global South”. A questi, i militari cinesi offriranno la narrazione con cui raccontano di opporsi al confronto tra blocchi e alla “mentalità da guerra fredda” – due critiche frequenti che Pechino rivolge all’Occidente. Ma anche potenziali contratti per forniture di armamenti.

D’altronde, mentre Pechino deve affrontare un maggiore coordinamento tra gli Stati Uniti e i suoi alleati per limitare le ambizioni militari cinesi, può contare sull’interesse di alcune nazioni che vogliono armi e non accettano di sottoporsi alle leggi anche morali occidentali. Inoltre, ci sono partner come la Russia. Il ministro della Difesa russo, Sergei Shoigu, ha per esempio usato lo spazio concessogli per attaccare l’Occidente e la Nato, secondo copione, e anche direttamente l’Italia.

E mentre Zhang Youxia (a cui tocca il discorso programmatico alla cena di gala in programma oggi in sostituzione del ministro) e He Weidong, rispettivamente numero due e tre dell’esercito, hanno già avuto incontri bilaterali con i ministri della Difesa di Laos, Mongolia e Vietnam arrivati a Pechino, anche gli Stati Uniti hanno scelto di non mancare all’evento. Il Pentagono ha inviato una delegazione guidata da Xanthi Carras, direttore per la Cina dell’Ufficio del sottosegretariato alla Difesa. Durante il forum c’è l’opportunità di parlare con i cinesi anche in via informale, e per questo gli americani vogliono esserci – oltre che per parlare con gli altri invitati all’interno della scenografia cinese.



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