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Sul premierato avanzare sì, ma con cautela. Parla Urbani

Se l’esecutivo troverà la convergenza per portare avanti il disegno di legge per modificare l’assetto istituzionale e arrivare all’elezione diretta del presidente del Consiglio, sarà l’occasione per traghettare il Paese verso la Terza Repubblica, ma bisogna farlo con cautela. Conversazione con l’ex ministro Giuliano Urbani

“Questo governo ha l’opportunità di traghettare, con le riforme istituzionali, il Paese verso la Terza Repubblica. Ma ci vuole molta cautela: stanno maneggiando nitroglicerina”. L’ex ministro degli Affari regionali e dei beni culturali, Giuliano Urbani, parla mentre è in corso – a Palazzo Chigi – l’incontro presieduto dal premier Giorgia Meloni dal quale è emersa, poi, la piena condivisione del progetto di riforma costituzionale che prevede l’elezione diretta del presidente del Consiglio. Il testo della riforma verrà esaminato nel corso del prossimo Consiglio dei ministri, in programma venerdì 3 novembre.

Quella del premierato è sempre stata una battaglia cara al centrodestra. Ce la farà questo governo a traghettare il Paese verso la “Terza Repubblica”?

Mi verrebbe da dire, con una battuta, che la risposta la lasciamo ai posteri. Ironia a parte, la direzione intrapresa da questo esecutivo mi pare positiva. Personalmente appartengo a quella schiera di persone che ritengono quella delle riforme istituzionali una priorità, anzi, la priorità per questo Paese. Ma l’atteggiamento deve essere molto cauto nell’approccio a queste materie.

Lei è ottimista?

Tendenzialmente sì. Ma bisogna capire come la riforma del premierato si inquadra in un nuovo assetto costituzionale tutto da costruire ancora. E non è un passaggio semplice.

In altri Paesi funziona questa forma istituzionale. 

È difficile avventurarsi in parallelismi con Paesi che hanno storie e complessità diverse dalle nostre. Non solo. Una parte importante del buon esito di una riforma dipende da come viene declinata dalla politica. Quando si parla di Costituzione, non bastano gli slogan. Serve concretezza e profondità. Ma questo è un avvertimento tanto per la maggioranza, quanto per l’opposizione.

Che atteggiamento riscontra sulle riforme da parte dell’opposizione?

Mi pare che ci si perda troppo su questioni di “cartello”, piuttosto che sulla sostanza dei provvedimenti che l’esecutivo sta tentando di portare avanti. Ed è esattamente l’atteggiamento che andrebbe scongiurato. Un conto sono i rilievi sul merito, un altro sono quelli sugli aspetti più superficiali. Che, francamente, lasciano il tempo che trovano. Questo Paese ha bisogno come l’aria di buone riforme. E il contributo delle opposizioni è importante. Ma, ribadisco, deve essere di sostanza.

Perché secondo lei prima Berlusconi poi Renzi fallirono nell’intendimento di riformare l’assetto istituzionale del Paese?

C’è un fil rouge che accomuna le due esperienze, che è la superficialità con cui vennero affrontate le riforme. L’esperienza berlusconiana fallì anche perché come rappresentante della Commissione europea nominò Emma Bonino – persona squisita, s’intende – assecondando i desiderata di Marco Pannella al posto di Giorgio Napolitano, che invece sarebbe stata una figura chiave anche per portare avanti l’agenda delle riforme con il centrosinistra.

È da poco passato un anno dall’insediamento di questo governo. Qual è la sua valutazione sul suo operato e su quello del premier?

Nel complesso positivo. Il premier ha dimostrato coi fatti di essere persona dotata di buonsenso, pragmatismo ed equilibrio. Tutte caratteristiche peraltro molto utile anche per ottenere un buon risultato sulle riforme.

Forse, al momento, lo scoglio maggiore è rappresentato dalla stesura della manovra…

Mi pare che le schermaglie sulla finanziaria siano più che altro dei fuochi di paglia. Questa è una manovra in un certo senso “obbligata”: l’esiguità di risorse inchioda il governo a dover far fronte alle urgenze che sono sotto gli occhi di tutti. La vera sfida, auspicabilmente, sarà quella del prossimo anno.



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