Un’Europa a due velocità in cui l’Italia si posiziona al quarto posto per emissioni di gas serra e all’ottavo posto tra i Paesi Ocse. È quello che rivela il Rapporto 2013 sulla finanza pubblica redatto dal Mulino, a cura dell’economista Alberto Zanardi, in cui si sottolinea a che punto si trova l’Italia nel panorama europeo e internazionale sulla riduzione dei gas serra.
Le due facce dell’Europa
Si divide in due, il continente europeo, nella lotta alle emissioni di gas inquinanti. Nella studio di Maria Teresa Monteduro (Dipartimento delle Finanze, Ministero dell’economia e delle finanze), contenuta nel Rapporto 2013, si sottolinea come “la correlazione tra i consumi di energia primaria (misurata in chilorgammi di petrolio equivalente) e le emissioni di anidride carbonica pro capite (misurate in tonnellate cubiche)” ha mostrato, negli ultimi cinquant’anni, una netta separazione tra paesi virtuosi – come Francia, Svezia, Regno Unito e Belgio – che hanno apportato delle politiche di riduzione di emissioni di CO2 efficienti, e una parte dell’Europa meno virtuosa – composta da paesi come Spagna, Portogallo e Italia – che ha avuto molte difficoltà a “coniugare la crescita dell’economia con una più che proporzionale flessione delle emissioni di gas serra”.
Protocollo di Kyoto e pacchetto clima-energia
L’Italia è riuscita a raggiungere il primo traguardo nella riduzione delle emissioni di CO2 prevista dal protocollo di Kyoto – prevedeva un calo del 6,5% tra 2008 e 2012 – raggiungendo una riduzione su base annua di oltre il -7%. A sommarsi al piano di riduzioni, però, entrano ora in gioco le politiche europee di rilancio della crescita sostenibile da una parte, e di tassazione di prodotti energetici dall’altra, in cui la “questione ambientale” – si legge nel rapporto – deve tornare ad essere al centro del dibattito.
Come raggiungere gli obiettivi di crescita sostenibile
Quali strumenti utilizzare per promuovere modelli di produzione e sviluppo a basso contenuto di carbonio? Maria Teresa Monteduro suggerisce gli strumenti “economici” – come tasse, tariffe, sussidi, incentivi e permessi negoziabili – “ritenuti efficaci nel sostenere l’obiettivo di dissociare le pressioni ambientali dalla crescita economica” che possono aiutare così, allo stesso tempo, lo sviluppo delle politiche settoriali.
Anche la riforma della tassazione “in senso ambientalista” mirata a spostare il prelievo dai fattori produttivi (lavoro e capitale) ai consumi (e a quelli nocivi per l’ambiente) porterebbe grossi benefici: ne gioverebbero il settore ambientale e occupazionale da una parte e, al contempo, stimolerebbe la competitività riducendo gli effetti negativi di alcuni prelievi.