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Il presidenzialismo del “vorrei ma non posso”. La versione di Marchi (Unibo)

Manca chiarezza sulla legge elettorale e sul modello che la riforma sul premierato vuole introdurre. Il ddl conferisce al presidente del Consiglio un maggior potere rispetto al Capo dello Stato, sotto il profilo della legittimazione popolare, ma poi lo rende “ostaggio” della fiducia alle Camere. E il semi-presidenzialismo francese non è applicabile in Italia. Conversazione con Michele Marchi, professore di Storia Contemporanea all’Università di Bologna

Più passano i giorni, più i dubbi sulla riforma istituzionale si infittiscono. La bozza di disegno di legge che circola da qualche tempo ha innescato un accesissimo dibattito affollato da costituzionalisti e politici. Ma il premierato, si presta anche a una lettura storica magari che lo metta in relazione a modelli che rappresentano l’architrave istituzionale di altri Paesi. È l’esercizio di comparazione che Formiche.net ha fatto con Michele Marchi, professore di Storia Contemporanea dell’Università di Bologna, incardinato al dipartimento di Beni Culturali a Ravenna, che ha di recente dato alle stampe “Presidenzialismo a metà. Modello francese, passione italiana” edito da Il Mulino.

Partiamo dalle sue impressioni sulla bozza di ddl che è circolata. Quale modello sembra emergere?

Per sgomberare il campo da ogni equivoco non essendo un giurista, la mia valutazione sarà quella dello storico della politica. Mi pare che dalla bozza che è circolata l’esecutivo abbia scelto una sorta di ibrida “terza via”: un modello che non assomiglia né al semipresidenzialismo alla francese, né al parlamentarismo razionalizzato di tipo britannico (o tedesco o spagnolo), né tanto meno al presidenzialismo all’americana. E tutto ciò mi pare per assecondare quel desiderio di primato della personalizzazione della politica che persiste nel contesto italiano da oltre un trentennio, inserendo dunque l’elezione diretta del capo del governo.

Come vengono ridisegnati gli assetti tra i poteri di Palazzo Chigi e del Quirinale?

L’elezione diretta del presidente del Consiglio gli conferisce una “forza” potenzialmente superiore- perlomeno in termini di legittimazione popolare – rispetto a quella dell’attuale Presidente della Repubblica italiana (eletto sostanzialmente dalle due Camere, dunque di elezione indiretta). D’altra parte, però il nuovo premier risulterebbe essere “ostaggio” della propria maggioranza parlamentare. Mi sembra un po’ una riforma “vorrei ma non posso”, per sintetizzare il tutto con uno slogan. Fermo restando che manca chiarezza sul tipo di legge elettorale che si vuole accompagnare a questa riforma costituzionale.

Che cosa intende dire?

Manca molta chiarezza sul premio di maggioranza e su come si “costruirà” la maggioranza che sostiene il primo ministro eletto direttamente. Così come occorre chiarire la soglia di attribuzione del premio di maggioranza. Nel contesto francese della V Repubblica, ad esempio, il sistema maggioritario a due turni con alta soglia di sbarramento per accedere al secondo turno in vigore per l’elezione dell’Assemblea nazionale (solo nel 1986 si è votato con il proporzionale) ha funzionato piuttosto bene, perlomeno fino a che non sono entrate in crisi le culture politiche tradizionali (gollista e socialista prima di tutto).

Il titolo del suo libro parla dell’innamoramento verso il sistema francese. Ma, secondo lei, sarebbe esportabile in Italia?

Uno storico tendenzialmente diffida delle ingegnerie costituzionali. Battute a parte, ritengo che ogni modello sia figlio del contesto nel quale è nato e si è sviluppato. Basti pensare che la Costituzione francese della Quinta Repubblica è stata scritta in tre mesi e in un contesto di semi guerra civile (la guerra d’Algeria nella sua crisi più grave). E’ una Costituzione molto flessibile, che si presta ad adattarsi a situazioni abbastanza mutevoli. Il contesto italiano è stato ed è, soprattutto, profondamente differente.

In Italia, tuttavia, si dice che il Presidente della Repubblica ha poteri a “fisarmonica”. 

Sì, infatti, sia nel dettato costituzionale, sia nella “Costituzione materiale”, in particolare a partire da inizio anni Novanta, l’operato del Capo dello Stato ci ha condotti ad un “semipresidenzialismo de facto”. Essendo i poteri a fisarmonica, si allargano e si restringono in base alle esigenze in cui si trova a vivere il Paese, la sua economia e l’evoluzione del suo sistema partitico e politico in genere.

Come “caratterizzare”, dunque, il modello del premierato italiano?

Sicuramente evitando di parlare di presidenzialismo o di semipresidenzialismo. Nel primo caso la separazione tra potere esecutivo e legislativo è netta e il Presidente non può assolutamente sciogliere il Congresso (caso americano). Nel secondo, tra i molti poteri del Presidente francese eletto direttamente, vi è anche quello di sciogliere il Parlamento. Il semipresidenzialismo francese è un mix tra presidenzialismo e parlamentarismo. Per quello che si sa al momento, il “premierato all’italiana” potrebbe davvero aprire ad una nuova “terza via”. Mi permetto di dire che attendo il testo del governo con grande curiosità e qualche timore.



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