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Con il Piano Mattei Italia e Ue rinsaldano i rapporti con l’Africa. Parla Sanguini

“Tunisia ed Etiopia? Due punti di riferimento non solo storici ma anche attuali e quindi tutto ciò che va a favore di questi due Paesi deve essere considerato positivamente e sostenuto. L’errore da evitare? La distrazione: viviamo in un mondo in cui ogni giorno si presenta un’emergenza”. Conversazione con Armando Sanguini, già ambasciatore italiano in Tunisia e in Arabia Saudita e ora senior advisor Medio Oriente e Nord Africa dell’Ispi

Il Piano Mattei e quell’idea sistemica pensata da Giorgia Meloni di una interrelazione tra diplomazia, imprese e geopolitica. Secondo Armando Sanguini, già ambasciatore italiano in Tunisia e in Arabia Saudita e ora senior advisor Medio Oriente e Nord Africa dell’Ispi oltre che docente all’Università Lumsa di Roma, l’iniziativa del governo porta in dote una serie di elementi positivi, come la presenza nella cabina di regia di Sace e CdP, come l’obiettivo di ottenere un rapporto organico, strutturato, ben finalizzato con l’Africa, nella consapevolezza che “il nostro rapporto con l’Africa è un rapporto che deve diventare organico e non solo col Nord Africa”, evitando di mostrarsi superiori all’interlocutore.

Un nuovo partenariato tra Italia e Stati del Continente africano: questa l’idea di fondo del Piano Mattei guidato da un decreto legge in sette articoli che istituisce tra le altre cose un’apposita cabina di regia. Quali i vantaggi per l’Italia e quali per l’Ue?

Credo che noi abbiamo tutto da guadagnare nella misura in cui si potrà stendere la rete di rapporti con l’Africa in generale e con quella del Nord in particolare. Il problema è nel merito, vale a dire se si è effettivamente pronti a sviluppare questo tipo di partenariato oppure se sotto sotto continuiamo a pensare in un nostro ruolo superiore rispetto a quello dei nostri interlocutori, io vedo solo questo rischio. Per il resto sono favorevolissimo a tutto ciò che possa rinsaldare i rapporti con l’Africa in generale col Nord Africa in particolare, dove abbiamo degli interessi veramente notevoli.

Il ruolo italiano può essere significativo (e non secondario) nella partita che si gioca in Africa? Lì, tra le altre cose, si sta proiettando con insistenza il dualismo Washington-Pechino, senza dimenticare l’esigenza europea di impedire il monopolio di policies e iniziative da parte della cosiddetta comunità di influenze sino-africane.

Certamente, perché si tratta di un piano aperto che non pretende di avere l’esclusività e ha l’ambizione di essere un punto di riferimento fondamentale nello sviluppo dei rapporti con quel continente che, non dimentichiamo, è un continente gigantesco. Noi di solito quando parliamo di Africa abbiamo in mente l’idea che sia un Paese grande ma in realtà è composto da più di 50 Paesi che popolano e rappresentano il continente africano. Quindi io credo che tutto ciò che ci consente un rapporto organico, strutturato, ben finalizzato deve essere accolto con il massimo del favore.

Non sono mancate alcune pressioni in ambito Fmi al fine di supportare finanziariamente paesi in difficoltà, come Tunisia ed Etiopia: è una mossa che si inserisce in questo contesto? E con quali vantaggi?

Certamente sì, anche perché nel nostro caso Tunisia ed Etiopia sono due punti di riferimento non solo storici ma anche attuali e quindi tutto ciò che va a favore di questi due Paesi deve essere considerato positivamente e sostenuto. Soprattutto perché, alla fine della fiera, le frasi fatte si sprecano ma i risultati non si vedono. Per cui io credo che insistere su questa linea sia assolutamente prioritario per noi come per altri Paesi.

Il fatto che nella cabina di regia ci siano anche Cassa depositi e prestiti, Sace e il presidente della Conferenza Stato Regioni conferisce al Piano Mattei una visione di lungo respiro che nel recente passato è mancata rispetto ad azioni e interventi dei governi?

Posso solo dire “finalmente” ci si è arrivati, perché senza queste partecipazioni tutto ciò che riguarda i rapporti con l’Africa diventa molto transeunte e provvisorio, caduco e quindi suscettibile di essere messo da parte. Ben vengano questi interventi istituzionali che possono dare corpo, finalità e determinazione all’operazione.

Quali saranno gli errori da evitare?

L’errore fondamentale è la distrazione: viviamo in un mondo in cui ogni giorno si presenta un’emergenza. Noi abbiamo delle priorità e degli assi portanti a cui dobbiamo restare molto legati senza farci farci distrarre troppo. Il nostro rapporto con l’Africa è un rapporto che deve diventare organico e non solo col Nord Africa, con cui i rapporti sono ormai di lunga data e non solo con l’Etiopia per ragioni storiche, ma con l’Africa in generale perché è il continente che ci sta di fronte, è il continente con cui dobbiamo trovare delle soluzioni strutturali, smettendola di ritenere che il nostro ruolo possa essere superiore. Il vero rischio in questo tipo di rapporto è l’idea di essere superiori al nostro interlocutore, perché questo non funziona, o meglio non funziona più e funzionerà sempre meno col tempo.

Il contemporaneo disimpegno francese dalla fascia subsahariana come si lega al Piano Mattei? Magari gli conferisce un peso specifico maggiore come aspettative e come prospettive?

Credo che la Francia stia facendo un’analisi molto concreta che porta come conclusione quella di un ridimensionamento di un ruolo che fino a oggi ha avuto e riteneva superiore a quello degli altri partner europei. Ma finalmente ha compreso che invece o si muove assieme a tutta l’Europa oppure rischia di essere comunque emarginata, quindi ben venga questa presa di posizione francese.

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