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La flotta cinese bullizza ancora. Sonar contro una nave australiana

Un cacciatorpediniere cinese ha aperto il sonar per disturbare le attività di sommozzatori che stavano operando su una fregata australiana nella Zee del Giappone. La tensione nell’Indo Pacifico rimane alta nonostante l’incontro Biden-Xi

Canberra ha espresso le “più serie preoccupazioni” a Pechino a seguito di “un’interazione poco sicura e poco professionale” tra una nave militare australiana con un cacciatorpediniere della Marina dell’Esercito di liberazione popolare (Pla-N).

L’episodio, su cui Formiche.net ha ricevuto una nota per la stampa qualche ora fa, è avvenuto il 14 novembre 2023, quando la “Hmas Toowoomba”, una fregata Classe Amzac, si trovava all’interno della Zona Economica Esclusiva del Giappone per una visita portuale programmata.

La Toowoomba era nella regione per condurre “operazioni a sostegno all’applicazione delle sanzioni delle Nazioni Unite (non viene definito quali, ndr). Si era fermata per condurre attività di immersione al fine di rimuovere le reti da pesca che si erano impigliate intorno alle sue eliche. In ogni momento, la Toowoomba ha comunicato la sua intenzione di condurre le operazioni di immersione sui normali canali marittimi e utilizzando segnali riconosciuti a livello internazionale. Mentre era ferma, un cacciatorpediniere della Pla-N che operava nelle vicinanze si è avvicinato. [A quel punto la Toowoomba] ha nuovamente avvisato il cacciatorpediniere [cinese] che erano in corso operazioni di immersione e ha chiesto alla nave di tenersi a distanza di sicurezza. Nonostante il riconoscimento delle comunicazioni, la nave cinese si è avvicinata. Poco dopo, è stata rilevata azionare il sonar montato sullo scafo in modo da mettere a rischio la sicurezza dei sommozzatori australiani che sono stati costretti a uscire dall’acqua”.

Il comunicato stampa del governo australiano bolla la decisione immotivata e deliberata cinese come “condotta non sicura e non professionale”, e aggiunge che “le valutazioni mediche fatte dopo l’uscita dall’acqua hanno rilevato che i sommozzatori [australiani] avevano riportato ferite minori, probabilmente a causa degli impulsi sonar del cacciatorpediniere cinese”.

La Cina non è nuova a certe attività di bullismo che mettono a rischio la sicurezza delle acque di una regione estesa, l’Indo Pacifico, dove le tensioni non mancano. Recentemente, i battelli militari e quelli della flottiglia ibrida dei pescherecci cinesi hanno in più di un’occasione avvicinato per disturbare le attività delle forze armate filippine. Per almeno tre volte ci sono stati attacchi fisici, una collisione e due usi di cannoni ad acqua. Manila è il principale degli obiettivi, perché Pechino l’ha recentemente persa. Con il cambio presidenziale dello scorso anno, le Filippine di Ferdinand Marcos Jr hanno velocemente implementato la cooperazione — anche militare — con gli Stati Uniti — e la Cina ha perso svariate aliquote dell’influenza rafforzata durante la presidenza di Rodrigo Duterte.

Se la vicenda filippina è la rivisitazione in chiave moderna di come l’America smuova gli equilibri regionali — e dunque alteri i piani cinesi — con l’Australia la questione è diversa. La Cina ha sempre mosso molta influenza nel Paese, sebbene Canberra, anglofona e occidentalizzata totalmente, sia storica alleata americana. Negli ultimi anni, per rappresaglia a decisioni australiane (anche dettate dagli Usa), la Cina aveva avviato pratiche di coercizione economica contro l’Australia, ma recentemente era sembrata possibile una distensione.

Anthony Albanese era stato in visita a Pechino, e non succedeva dal 2016 che un primo ministro australiano entrasse nella Città Proibita. I rapporti tra Canberra e Pechino si erano deteriorati terribilmente nel 2018, quando il governo australiano — su indicazione americana — tagliò fuori Huawei dal proprio 5G. In mezzo accuse sull’uso strategico degli expat cinesi per influenzare le dinamiche politiche australiane, l’appoggio a Washington per un’inchiesta sulle origini del Covid, una guerra commerciale, l’accordo Aukus (che permetterà all’Australia, grazie a Usa e Uk, di ottenere una dotazione di sommergibili nucleari e missili Tomahawk). La coercizione economica ha complicato l’export di prodotti agro-alimentari australiani, su cui Pechino ha imposto dazi pesanti), e considerando che la Cina è il primo partner commerciale dell’Australia non è stato semplice.

Albanese era a Pechino pochi giorni prima del vertice tra Joe Biden e Xi Jinping. In un quadro di volontà di comunicazione tra le due potenze, l’australiano commentava che adesso ci sono “segnali promettenti” per riavviare una “discussione costruttiva” con Pechino, e quello che faceva era anche frutto di un equilibrio delicato che certi Paesi hanno la necessità di tenere. D’altronde, l’Australia fa parte di coloro che in questo momento possono più facilmente intavolare relazioni con la Cina se le comunicazioni Washington-Pechino funzionano, mentre devono tenere una linea più severa in altre fasi.

Nei giorni ancora precedenti, Albanese era a Washington, e — come ricordava Guido Santevecchi, guru sulla Cina al Corriere della Sera — durante il loro incontro Biden aveva rievocato il vecchio principio enunciato da Ronald Reagan quando trattava con i sovietici: “Mostrare fiducia e verificare”. La vicenda della Toowoomba è già una prima verifica su quella fiducia concessa? Possibile che la notizia sia stata diffusa solo adesso per non alterare il clima del summit Biden-Xi, che c’è stato il 15 novembre. Ora la vicenda viene fatta circolare anche per calmare letture eccessivamente positive dell’incontro e questioni a cascata (come riflessi sulle politiche interne dei Paesi coinvolti)?

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