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La Cina rivendica un ruolo in Medio Oriente, ma è efficace?

Per Ori Sela (Tel Aviv University), “l’obiettivo principale è dimostrare di essere coinvolta e di essere un attore dominante nel Medio Oriente, nonostante, da quando la guerra è iniziata con le atrocità di Hamas il 7 ottobre, la sua narrazione principale, ossia che gli Stati Uniti si stanno ritirando dalla regione e la Cina è al centro della scena al suo posto, si è sgretolata”

Il mondo deve “agire con urgenza” per fermare il conflitto a Gaza: il più alto diplomatico del Partito Comunista Cinese, il ministro degli Esteri Wang Yi, ha sintetizzato così l’incontro ospitato a Pechino con i parigrado di alcune nazioni arabe e a maggioranza musulmana. La Cina intensifica i suoi sforzi pubblici per svolgere un ruolo visibile nello stabilire il cessate il fuoco nel conflitto tra Israele e Hamas. Ed è qui il primo elemento: mentre Washington ha trattato per ottenere “pause umanitarie” che possano consentire l’invio di assistenza nella Striscia assediata – e forse potrebbe raggiungere qualcosa di più lungo come durata per facilitare uno scambio di prigionieri – Pechino parla di cessare il fuoco. Ossia, gli Stati Uniti usano un linguaggio che garantisce a Israele di continuare l’operazione contro Hamas (perché le pause sono interruzioni tattiche e puntuali delle operazioni), la Cina usa la semantica che piace al mondo arabo: stop totale alle armi.

La delegazione composta dai ministri di Arabia Saudita, Giordania, Egitto, Autorità Nazionale Palestinese e Indonesia, nonché dal capo dell’Organizzazione della Cooperazione Islamica, si fermerà due giorni nella capitale cinese. Poi dovrebbe far tappa in diverse capitali mondiali, probabilmente quelle dei Paesi membri permanenti del Consiglio di Sicurezza. Tour che annacqua notevolmente il valore della visita a Pechino. Ma la Cina incassa di dare il via al tour diplomatico e mette l’impronta sul successo potenziale successivo. Che però non è assicurato.

“La comunità internazionale deve agire con urgenza, adottando misure efficaci per evitare che questa tragedia si diffonda. La Cina si schiera fermamente a favore della giustizia e dell’equità in questo conflitto”, ha detto il cinese in apertura dei colloqui, ribadendo l’appello per un cessate il fuoco che deve essere “immediato”. La posizione di Pechino è molto ben recepita dalle controparti arabo-islamiche. Per esempio, il ministro degli Esteri saudita, il principe Faisal bin Farhan Al Saud, ha dichiarato: “Il messaggio è chiaro: la guerra deve cessare immediatamente, dobbiamo passare immediatamente al cessate il fuoco e i materiali di soccorso e gli aiuti devono entrare immediatamente”.

Cessare il fuoco “immediatamente”

La tempistica non è solo forma, ma parte della sostanza. I Paesi rappresentati nella delegazione sperano di cooperare con la Cina e con “tutti coloro [che sono] responsabili e apprezzano la gravità della situazione”, dice il saudita, che per peso geopolitico fa da capo delegazione. Il termine “responsabili” è di interesse: una delle componenti del confronto costante tra Washington e Pechino sta nel muoversi e farsi percepire da “potenza responsabile”. L’incontro a Pechino arriva mentre potrebbe essere in vista un possibile accordo per garantire il rilascio di alcuni ostaggi detenuti da Hamas e una pausa di alcuni giorni nei combattimenti, dopo settimane di negoziati in cui sono stati gli Usa a muoversi con la responsabilità di salvare le persone catturate dai terroristi e hanno convinto Israele ad accettare parte delle condizioni che i fondamentalisti palestinesi hanno negoziato con il Qatar.

Nonostante l’attenzione mediatica raccolta, anche grazie alla narrazione che la Cina ha veicolato attorno all’incontro, non tutti i ministri degli Stati arabi e islamici coinvolti hanno però partecipato, e forse questo parla già delle limitate aspirazioni che potrebbero aver avuto dall’incontro, nota Ori Sela, esperto di studi est-asiatici dell’Institute for National Security Studies alla Tel Aviv University. “Inoltre, per la Cina, l’obiettivo principale è dimostrare di essere coinvolta e di essere un attore dominante nel Medio Oriente, nonostante da quando la guerra è iniziata con le atrocità di Hamas il 7 ottobre, la sua narrazione principale, ossia che gli Stati Uniti si stanno ritirando dalla regione e la Cina è al centro della scena al suo posto, si è sgretolata”, aggiunge Sela in una conversazione con Formiche.net.

Presentare un approccio comune da parte della Cina e degli Stati arabi potrebbe servire a questo scopo, cercando anche di creare un cuneo tra alcuni di questi Paesi e gli Stati Uniti? “Supponendo, e non è necessariamente il caso, che i ministri arabi avessero la propria axe to grind (è un’espressione che denota l’avere un’opinione personale molto marcata su qualcosa, desiderando che gli altri la condividano, e questo spinge a agire in linea con tale convinzione, ndr), lo scopo potrebbe essere cercare di convincere la Cina a fare pressione sull’Iran e sui suoi proxy per prevenire l’espansione regionale della guerra, forse, anche per fare pressione, indirettamente, degli Stati Uniti per convincere Israele a cessare il fuoco”.

Equilibrio con caratteristiche cinesi

Dal punto di vista cinese, c’è da esercitare un equilibrio tra i partner arabo-islamici e Israele, oltre che cercare di apparire “responsabile” agli occhi di una parte di mondo che chiede la fine del conflitto. Come si sta muovendo Pechino? “La posizione della Cina non è nuova, ma sembra che non abbia ancora compreso la gravità della situazione attuale, trattandola solo come un altro scontro tra Israele e Gaza. Pertanto, Pechino reagisce fondamentalmente in modo molto simile alle sue solite reazioni: pro-palestinese, con apparente neutralità. La Cina cerca anche di trasmettere il messaggio che può mediare una soluzione pacifica, anche se la sua posizione pro-palestinese, senza alcuna denuncia sostanziale di Hamas, rende l’ambizione inconsistente”.

E con Israele? Wang ha dichiarato che “Israele dovrebbe fermare la punizione collettiva sulla popolazione di Gaza e aprire corridoi il prima possibile per evitare che si verifichi una crisi umanitaria di dimensioni maggiori”. Potrebbe cambiare qualcosa nelle relazioni? “Mentre per oltre tre decenni Israele ha accettato la linea cinese e non ha mescolato l’economia con la geopolitica nei confronti della Cina, questa volta potrebbe non essere così. Sembra che adesso Israele sia molto più incline a riconoscere direttamente gli Stati Uniti come unico alleato tra le grandi potenze e a respingere la posizione della Cina. Tuttavia, sembra anche che entrambi i Paesi non abbiano alcun interesse ad aumentare la retorica o a mettere a rischio del tutto il futuro delle loro relazioni”.



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