Una congiuntura favorevole, il giusto timing con l’Europa e una risposta convincente del mercato sono solo alcuni degli elementi che fanno dell’operazione Mps un piccolo grande risultato del Tesoro
L’operazione che riporta il Monte dei Paschi di Siena sul mercato è perfettamente riuscita, permettendo al Tesoro, ormai non più padrone assoluto di Rocca Salimbeni, di incassare un dividendo prezioso, quello della fiducia e della credibilità. Sfruttando il vento favorevole in Borsa, Via XX Settembre ha realizzato con successo la cessione del 25% di Monte dei Paschi, con un’operazione lampo che attraverso una procedura accelerata di raccolta ordini ha messo sul mercato poco meno di 315 milioni di azioni.
Il successo dell’operazione, a lungo attesa dal mercato e che spiana la strada alla creazione del terzo polo bancario con Banco Bpm, dopo Intesa e Unicredit, sta tutto nella domanda raccolta, pari a oltre cinque volte l’ammontare iniziale. Tanto che l’offerta iniziale è stata incrementata dal 20% al 25% del capitale sociale della banca più antica del mondo. Segno che gli investitori, tra cui numerosi fondi, avevano una gran voglia di azioni Mps, il che ovviamente giova all’appeal della stessa banca guidata da Luigi Lovaglio ma controllata dallo Stato italiano da ben sei anni, dopo la ricapitalizzazione precauzionale del 2017, costata oltre 5,4 miliardi di euro.
Tornando ai dettagli della cessione, il corrispettivo per azione è pari ad euro 2,92 per un controvalore complessivo pari a circa Euro 920 milioni, che poi sarebbe l’incasso del Tesoro, ora azionista di controllo con il 39% ma non certo con lo stesso grip di prima. A Giorgetti e i suoi collaboratori va dato il merito di aver scelto il momento più propizio per mettere in moto la privatizzazione del Monte dei Paschi. Tanto per cominciare, le cose in Borsa si sono messe bene per il titolo, che in sei mesi ha guadagnato il 26%, ritrovando anche un certo ritmo nel ritorno al valore dell’istituto sui listini. E comunque il mercato era in una fase di buona, anche dopo le quattro promozioni sul debito tricolore arrivate dalle altrettante agenzie di rating, tra cui quella più pesante e decisiva, di Moody’s.
Secondo aspetto, i conti dei primi nove mesi dell’istituto hanno certificato la buona efficacia del risanamento messo a terra dallo stesso ceo Lovaglio, a cominciare dai crediti in sofferenza, arrivando al riassetto della rete sui territori e alla gestione degli esuberi e dei prepensionamenti. Manovre che hanno inevitabilmente impattato sui conti del Monte, che ha chiuso il periodo tra gennaio e settembre con utili per 929 milioni. Poi c’è l’aspetto legato all’Europa e anche qui il governo si è mosso bene e con buon tempismo.
Tra pochi mesi sarebbe scaduto infatti il termine per un primo disimpegno del Tesoro da Siena, pattuito con Bruxelles due anni fa. Un passo indietro dell’azionista pubblico, che è arrivato. Un messaggio rassicurante per l’Ue, che da una parte può toccare con mano la credibilità dell’esecutivo, dall’altra non può che vedere di buon occhio la privatizzazione di un asset di tale stazza. Il che, in ottica riforma del Patto di stabilità e ratifica del Mes, non può che giovare a favore dell’Italia. Non è finita, all’appello mancano due elementi.
Primo, la cessione della quota apre la strada al risiko bancario e al consolidamento, più volte invocato dallo stesso sistema del credito. Ci sono buone probabilità che Mps e Banco vadano a nozze, anche se per il momento è tutto nell’immaginario. Secondo, al governo servivano soldi, anche per tenere in piedi una manovra che poggia ancora troppo sul deficit. E così è stato unito l’utile al dilettevole. Buona la prima.