I piani del presidente appena eletto sono indubbiamente ambiziosi e anche un po’ azzardati. Ma i problemi atavici di cui soffre il Paese sudamericano sono forse troppo grandi per essere aggirati. E allora persino un nuovo default va messo nel conto
Ci sono le promesse elettorali, quelle che scaldano le piazze e conquistano voti. E poi c’è la realtà, sempre piuttosto dura. Non è chiaro se Javier Milei, neo presidente dell’Argentina, abbia davvero consapevolezza degli immani problemi e squilibri che affliggono l’economia del Paese delle pampas. Ma è certo che la sua ricetta, a base di privatizzazioni massicce e tagli alla spesa pubblica, è quanto meno ambiziosa. Bisognerà capire se le idee potranno davvero essere messe a terra (per il momento il vento dei mercati soffia ancora a favore). Ma c’è chi è scettico, come l’agenzia di rating Fitch, che alla Mileinomics ha dedicato un report.
La premessa è già una sentenza. “La visione economica radicale del presidente eletto dell’Argentina Javier Milei potrebbe entrare in conflitto con la complessa realtà politica del Paese”, scrive Fitch. Ma è nel passaggio successivo che arriva la doccia gelata. “I piani politici ed economici dettagliati devono ancora emergere, ma dato il terribile punto di partenza macroeconomico e le sfide di governabilità, riteniamo probabile un evento di default di qualche tipo nei prossimi anni, come riflette il nostro rating sovrano CC”. Messaggio chiaro, tutta la buona volontà di El loco, così chiamano Milei, non basterà a salvare l’Argentina.
I problemi sono atavici. “L’inflazione annuale è salita al 143% nell’ottobre 2023, la più alta in oltre tre decenni. Lo squilibrio fiscale è ampio e il suo finanziamento tramite la banca centrale ha alimentato profondi squilibri monetari. Le riserve valutarie nette sono scese a 10 miliardi di dollari negativi nonostante i rigidi controlli valutari, poiché il governo peronista ha cercato di evitare la svalutazione del peso. Milei ha proposto misure rapide e radicali per affrontare questi squilibri, compresi tagli drammatici alla spesa federale, la completa dollarizzazione, la chiusura della banca centrale e le privatizzazioni. Tuttavia, la dubbia fattibilità tecnica di questi piani e la recente moderazione nella sua retorica rendono incerto quanto sia ambizioso il programma che perseguirà”.
Certo, l’agenzia di rating ammette come “l’enfatica vittoria di Milei offra al nuovo presidente il capitale politico per intraprendere azioni coraggiose, ma la mancanza di forza politica sarà un ostacolo. Libertad Avanza (la coalizione di destra che esprime Milei, ndr) avrà solo 38 dei 257 seggi alla Camera dei Deputati e 8 dei 72 al Senato, e le alleanze con le fazioni della coalizione Juntos Por El Cambio non forniranno la maggioranza. Il partito non ha governatori provinciali. Un tasso di povertà del 40% evidenzia un contesto sociale fragile che richiede un aggiustamento doloroso, mentre la duratura macchina politica del peronismo e l’influenza su gruppi potenti come i sindacati potrebbero essere una fonte di resistenza”.
Conclusione: nonostante il successo di Milei, “gli obblighi di rifinanziamento (del debito sovrano e del prestito da 46 miliardi contratto con l’Fmi, ndr) dipendono dal recupero dell’accesso al mercato, che richiederà fiducia nella governabilità e in una nuova direzione politica in grado di resistere ai futuri cicli elettorali. Potrebbe essere più difficile per Milei realizzarlo”.