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Taiwan bussa alle porte dell’Interpol (con la sponda italiana)

Di Gabriele Carrer ed Emanuele Rossi

Il Gruppo interparlamentare guidato dal senatore Malan si schiera al fianco di Taipei che chiede di partecipare all’assemblea, al via la prossima settimana nonostante le resistenze cinesi. Il commissario Chou Yew-woei: “Non è una questione politica, la sicurezza globale riguarda tutti noi”

Il Gruppo interparlamentare di amicizia Italia-Taiwan si è schierato al fianco della Repubblica di Cina, a sostegno della sua partecipazione, in qualità di osservatore, all’assemblea generale dell’Interpol che si terrà da martedì prossimo (28 novembre) al venerdì successivo (1° dicembre) a Vienna, in Austria.

La sponda italiana

Si tratta di un’esclusione “inaudita”. Così l’hanno definita il senatore Lucio Malan, l’onorevole Silvana Andreina Comaroli e il senatore Adriano Paroli, presidente e vicepresidenti del Gruppo interparlamentare di amicizia Italia-Taiwan, in una lettera inviata questa settimana al presidente e al segretario generale dell’Interpol.

La partecipazione di Taiwan “è più che appropriata e ragionevole e siamo certi che aprendo le porte a Taiwan l’Interpol beneficerebbe di una maggiore copertura della rete globale”, scrivono i tre parlamentari che rappresentano i tre principali partiti della maggioranza di governo (Fratelli d’Italia, Lega e Forza Italia). Taiwan, infatti, è “diventato un collegamento indispensabile nel sistema di sicurezza globale, in particolare per quanto riguarda la prevenzione del riciclaggio di denaro, del traffico e della criminalità informatica”.

La lettera del commissario

Chou Yew-woei, commissario dell’Ufficio investigativo criminale di Taiwan, ha fatto arrivare a Formiche.net una copia del messaggio con cui chiede il sostegno internazionale alla partecipazione della Repubblica di Cina. Che, “per ragioni politiche”, ovvero l’opposizione della Repubblica popolare cinese, non ha potuto partecipare ai lavori per oltre 39 anni. “Eppure, allo stesso tempo, mentre la criminalità transnazionale prospera in quest’era di globalizzazione, i passaporti taiwanesi, che godono di accesso senza visto a 145 Paesi e territori, sono diventati i bersagli principali dei criminali transnazionali. Questa è una minaccia che non deve essere sottovalutata”, scrive. La partecipazione di Taiwan “non è una questione politica” perché “la sicurezza globale riguarda tutti noi”, prosegue.

Poi aggiunge: “La capacità di Taiwan di effettuare controlli di sicurezza alle frontiere e combattere crimini transnazionali come il terrorismo e il traffico di esseri umani è gravemente ostacolata dalla mancanza di accesso all’intelligence criminale in tempo reale condivisa attraverso il sistema I-24/7 dell’Interpol e al database dei documenti di viaggio rubati e smarriti”. L’esclusione di Taiwan “significa che i fondamentali scambi di intelligence sono spesso obsoleti ed errati”, scrive ancora. Inoltre, “l’incapacità di Taiwan di partecipare alle riunioni, alle attività e alla formazione dell’Interpol associata ha creato un divario significativo nella rete globale di sicurezza e antiterrorismo”.

Le “ragioni politiche”

Le ragioni che tengono Taiwan fuori da organizzazioni come l’Interpol (o l’Icao, l’Organizzazione internazionale per l’aviazione civile) sono del tutto politiche e collegate alla Cina. Infatti, dal 1971 la Repubblica di Cina ha perso il suo seggio alle Nazioni Unite come rappresentante ufficiale della Cina a favore della Repubblica popolare cinese. Da quel momento non è stata mai re-introdotta all’interno delle Nazioni Unite, delle sue attività e di quelle delle agenzie e organizzazioni collegate. Farlo significherebbe riconoscere la legittimità della presenza di Taipei significherebbe riconoscere formalmente la Repubblica di Cina. E si tratta di un’eventualità inconcepibile per Pechino, che considera Taiwan una provincia ribelle da annettere, anzi da “riunificare”, anche con l’uso della forza.

Ecco perché Pechino vuole tenere l’isola isolata. La partecipazione a forum internazionali e legami come l’apertura di uffici di rappresentanza (come quello recentemente inaugurato a Milano) significano soprattutto permettere a Taiwan, governata democraticamente e autonomamente ma rivendicata dal Partito comunista cinese, di aumentare il suo riconoscimento a livello internazionale. L’obiettivo del Partito/Stato è rendere Taipei isolata – non solo geograficamente – mentre le attività nella Comunità internazionale creano legami che aumentano la difficoltà per Pechino di compiere mosse per annettere Taiwan.

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