Per Touval (Mitvim), la tregua attuale potrebbe essere programmata perché sia Israele che Hamas hanno interesse a farlo. Ma poi riprenderanno i combattimenti, anche se ci saranno operazioni israeliane più mirate
Il quarto giorno di pausa militare tra Israele e Hamas è iniziato oggi, lunedì 27 novembre, conformemente all’accordo della scorsa settimana, che prevede la sospensione dei combattimenti e lo scambio di ostaggi e prigionieri. Fonti internazionali confermano da più parti che c’è una possibilità di proroga — o una riattivazione rapida dell’attuale intesa nei prossimi giorni — anche se la situazione resta molto sensibile e in almeno un’occasione si è rischiato che tutto saltasse. Hamas sabato aveva accusato Israele di violare i termini concordati, perché aveva liberato meno prigionieri di quanto deciso e complicato l’ingresso di aiuti umanitari nella Striscia di Gaza assediata. Ma poi domenica le cose sono scorse regolarmente.
Anzi: quella possibilità di prorogare la tregua se Hamas acconsentisse a liberare almeno 10 ostaggi al giorno, già parte dell’intesa, si è fatta ancora più concreta quando Hamas ha manifestato l’intenzione più apertamente in un comunicato, domenica sera. Il primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, ha dichiarato la propria disponibilità a una proroga, ma ha anche avvertito che una volta terminata, l’esercito israeliano avrebbe ripreso i combattimenti dentro Gaza con la massima potenza.
“Entrambe le parti hanno espresso interesse a prolungare l’attuale accordo, anche se con obiettivi diversi: Israele vuole assicurarsi il rilascio del maggior numero possibile di ostaggi, mentre Hamas vuole prolungare il cessate il fuoco e far arrivare nella Striscia di Gaza il maggior numero di camion di carburante e di aiuti di base”, spiega a Formiche.net Yonatan Touval, board member dell’Israeli Institute for Regional Foreign Policies (Mitvim). “Per questo motivo, probabilmente sarà prolungato fino a quando Hamas potrà continuare a rilasciare ostaggi (al ritmo di circa 10 per ogni giorno di cessate il fuoco)”.
Anche il primo ministro del Qatar, Mohammed bin Abdulrahman al Thani, ha confermato la possibilità di estendere la tregua in un’intervista al Financial Times. Doha è un’altra voce fondamentale, perché ha un ruolo centrale, in quanto mantiene un equilibrio tra il gruppo palestinese e Israele, Stati Uniti, Iran e Paesi del Golfo. Secondo al Thani, la decisione è anche tecnica: dipende dalla capacità di Hamas di individuare circa 40 persone non tenute in ostaggio direttamente dal gruppo radicale palestinese, ma da civili e piccoli gruppi criminali attivi nella Striscia di Gaza. Secondo le ultime informazioni dall’Egitto, un accordo per il prolunganti — 20 ostaggi per 60 prigionieri — sarà annunciato a breve.
Ma ci sono possibilità che da questa tregua e dal suo eventuale prolungamento possa aprirsi qualcosa di più, come un cessate il fuoco più strutturato? “Non credo che, una volta che Hamas non potrà più fornire ostaggi (o perché non vuole rilasciare ostaggi non civili o perché non ha accesso a loro), l’attuale accordo aprirà la strada a un cessate il fuoco più strutturato”, risponde Touval. È una lettura molto pragmatica, davanti a pressioni più o meno publiche e ambizioni di aprire una fase di de-escalation della crisi.
“Israele è determinato a continuare le operazioni militari all’interno della Striscia di Gaza — spiega l’esperto del Mivtim — e l’opinione pubblica israeliana non permetterà che la guerra si fermi a questo punto. Detto questo, la ripresa dei combattimenti potrebbe assumere una forma leggermente diversa, con meno attacchi aerei massicci e più operazioni di terra mirate, soprattutto quando Israele sposterà la sua attenzione sulla parte meridionale della Striscia”.
La fragile pausa umanitaria di quattro giorni a Gaza ha visto Hamas scambiare ostaggi israeliani con palestinesi detenuti nelle prigioni israeliane per un totale di 58 ostaggi in cambio di più di 100 donne e minori palestinesi imprigionati per crimini contro Israele. Quella che arriverà sarà una fase ancora più complessa. Ci saranno altri ostaggi da liberare. Ci sarà il problema di ampliare i combattimenti nelle aree meridionali della Striscia — dove Hamas ha centri di comando e controllo e molti cittadini dell’area si sono rifugiati, anche su invito israeliano. Ci sarà la necessità per entrambi i fronti in guerra di ottenere risultati pragmatici.
Se è vero che Hamas ha giurato di distruggere Israele come elementi istituitivo, è altrettanto vero che già nella sua campagna elettorale del 2009, Netanyahu aveva giurato di distruggere Hamas. Quello che c’è stato invece è un decennio e mezzo di coesistenza disagevole, durante il quale i governi di Netanyahu e i leader di Hamas si sono trovati reciprocamente utili per i propri scopi. “La strana simbiosi è durata, attraverso anni di escalation e di accomodamenti, di speranze di calma e di periodi di caos, fino ad oggi, quando sia Hamas che Netanyahu si trovano di fronte a una possibile fine della loro presa di potere”, analizza il Washington Post. È un’altra interessante lente pragmatica con cui leggere le prossime evoluzioni. Intanto, il governo israeliano va avanti con la sua agenda: “Sono sconvolto nell’apprendere che nel mezzo di una guerra, il governo israeliano è pronto a stanziare nuovi fondi per costruire altri insediamenti illegali. Questa non è legittima difesa e non renderà Israele più sicuro. Gli insediamenti rappresentano una grave violazione del diritto internazionale umanitario e rappresentano il più grande problema di sicurezza di Israele”, ha dichiarato Josep Borrell, Hr/Vp dell’Ue.