Il sondaggio di Tlp/YouGov pubblicato da Liberal Patriot fotografa una situazione nella quale, a dispetto di una diffusa convinzione, non sono gli elettori che frequentano i social i più polarizzati. Bensì sono coloro che si informano per lo più attraverso i media tradizionali. Il risultato di questa analisi, non stupisce i due esperti di comunicazione, Palmieri e Morcellini che, anzi, ne spiegano le diverse ragioni
Il Liberal Patriot si incarica di scardinare uno dei luoghi comuni più radicati non solo nell’immaginario collettivo, ma soprattutto fra chi fa analisi politica. Stando ai dati pubblicati dalla testata statunitense, che riportano il risultato di un recente sondaggio di Tlp/YouGov, emerge infatti che – diversamente da quanto si è naturalmente portati a pensare – non sono gli utenti dei social ad essere più “partigiani” politicamente. Bensì coloro che si informano attraverso i canali tradizionali. Giornali, televisioni e radio. Il sondaggio, effettuato su un campione di 3.098 persone, è riferito alle dinamiche elettorali statunitensi.
Insomma, a dispetto del senso comune, non sono i frequentatori dei social gli elettori più “polarizzati”, bensì quelli che frequentano le piattaforme informative “tradizionali”, come appare evidente dal grafico qui sotto.
Gli esperti
“Il risultato di questo sondaggio non mi stupisce – commenta Antonio Palmieri, ex parlamentare, uomo delle campagne elettorali di Forza Italia e attualmente presidente della Fondazione Pensiero Solido -. Gli elettori che fruiscono dei media tradizionali sono sempre i più polarizzati. D’altra parte, è raro che dai social nascano delle notizie. O meglio, sui social il dibattito viene generalmente innescato dai commenti di coloro che intervengono su notizie diffuse dai media tradizionali, che si affacciano sulle piattaforme”. Oppure, i social diventano fonte quando, “un politico, tendenzialmente non molto conosciuto fa uno scivolone. Oppure quando un pezzo di talk show viene postato decontestualizzandolo dalla cornice generale. E su questo spezzone poi si costruisce il dibattito e la polarizzazione”.
Per cui il paradosso a cui assistiamo nelle dinamiche della comunicazione è che “nell’epoca della disintermediazione, c’è ancora un fortissima mediazione da cui scaturisce generalmente la polarizzazione dell’elettorato”.
Queste considerazioni in ordine ai media tradizionali, non rappresentano tuttavia un’excusatio per le “forti distorsioni e la grande proliferazione delle fake news sui social”. “Naturalmente – spiega ancora Palmieri – io posso sempre far circolare una fake news, facendola partire online. Ma questo è tutt’altra fattispecie: i grandi temi, quelli che coinvolgono l’opinione pubblica, nascono dai media tradizionali”.
È una lettura, quest’ultima, condivisa anche da Mario Morcellini, professore emerito di Comunicazione all’Università La Sapienza. “Il digitale – analizza il docente – ha un potenziale enorme. Ma sono i media tradizionali a polarizzare l’elettorato in un senso o in un altro. Anche per un fattore anagrafico: pensiamo ad esempio ai giornali, appannaggio per lo più della popolazione adulta e anziana, sono fra i principali veicoli di alcuni messaggi”.
L’esempio di come vengono concepiti i titoli è interessante. “I titoli dei giornali sono per lo più slogan. E il prodotto quotidiano in sé è concepito per la fruizione massima di un paio d’ore. Tant’è che, se letto il giorno dopo, un quotidiano è tendenzialmente anacronistico”.
Senza contare che sempre più spesso l’informazione è “lontana dai cittadini”. A maggior ragione dai giovani. Ne deriva un altro paradosso. “I giornali che lanciano l’allarme dell’astensionismo, in particolare fra i ragazzi – scandisce – paradossalmente ne sono tra le cause principali”. Allo stesso modo funzionano anche le televisioni. Benché tra la tv pubblica e quella privata “intercorrano differenze più o meno evidenti rispetto al modo in cui viene fornita l’informazione o, talvolta, il prodotto”. In ogni caso, conclude Morcellini, “i media tradizionali sono stati i principali mezzi di diffusione del populismo”.