Il premier italiano viene annoverato tra le personalità più influenti dalla testata Politico. Ad essere apprezzata è la linea data dall’esecutivo in politica estera: un legame saldamente schierato con la Nato e a sostegno dell’Ucraina senza tentennamenti. Questo allineamento all’alleanza atlantica potrebbe però, elettoralmente, crearle quale problema in Europa, qualora avanzasse il gruppo Identità e Democrazia. In Italia, dal momento che l’alternativa Schlein non funziona, può dormire sonni tranquilli. Conversazione con il politologo Marco Tarchi
Il camaleonte. La testata Politico Europe, colloca il premier Giorgia Meloni fra le persone più influenti d’Europa. Ciò che viene apprezzato, in particolare, è il “taglio” che la leader di Fratelli d’Italia ha dato alla politica internazionale. Se inizialmente, come rileva il giornale estero, l’ascesa del partito conservatore italiano aveva preoccupato sia gli osservatori europei, sia quelli statunitensi, è altrettanto vero che entrambi si sono dovuti ben presto ricredere. Non c’è da stupirsi, però. “La scelta di moltiplicare gli incontri con capi di Stato e di governo esteri e di non mancare nessun appuntamento oltre frontiera che le faccia incrementare il capitale di visibilità fino a questo momento ha pagato”. A dirlo nella sua conversazione con Formiche.net è Marco Tarchi, politologo e docente all’Università degli Studi di Firenze Cesare Alfieri.
Politico ha inserito il presidente del Consiglio Giorgia Meloni tra le persone più influenti in Europa. E la definisce “camaleonte”. Le sembra una descrizione che corrisponde al modo di fare politica di Meloni?
Che miri ad apparire influente in campo internazionale, non c’è dubbio. Se lo sia effettivamente, è ancora da vedere. La scelta di moltiplicare gli incontri con capi di Stato e di governo esteri e di non mancare nessun appuntamento oltre frontiera che le faccia incrementare il capitale di visibilità fino a questo momento ha pagato, anche per l’abitudine ormai sistematica di intestarsi i risultati di queste iniziative in prima persona (non usa quasi mai il “noi” allargato al governo: nei suoi discorsi imperversa l’“io”). Quanto al camaleontismo, lo ha dimostrato già prima di giungere a Palazzo Chigi: non appena i sondaggi le hanno fatto intravedere la prospettiva del successo, ha modificato più di una posizione in politica estera. Apparire intransigente e nel contempo adattarsi, e talvolta piegarsi, alle situazioni contingenti: questo è il suo modo di procedere.
La componente più apprezzata è legata alle scelte fatte in politica estera dal premier, che hanno rafforzato l’asse Atlantico, europeista, a sostegno dell’Ucraina senza tentennamenti e collocato l’Italia saldamente con la Nato. È un posizionamento, quest’ultimo, che “conviene” all’Italia anche in prospettiva?
Lo chiede a chi, dall’indomani del crollo dell’Unione Sovietica, ha auspicato lo scioglimento della Nato, temendo che, nelle nuove circostanze che si erano venute a creare, sarebbe diventata ancor più il braccio armato del progetto di egemonia unipolare degli Stati Uniti. Non ho mai, da allora, cambiato idea, e so distinguere i fatti dalla propaganda. Ovviamente, per chi pensa che il ruolo dell’Italia e dell’Europa sia semplicemente di sostegno acritico all’alleato d’oltreoceano, questo modo di procedere è senz’altro conveniente. Meloni non la pensava così due anni fa, ma mi pare che adesso sia pienamente calata nel ruolo. Da questo punto di vista, la politica dell’esecutivo “giallo-verde” affondato dalla mossa suicida di Salvini, a mio avviso era molto più proficua per l’Italia.
Dalla campagna elettorale a Palazzo Chigi è evidente che sia Meloni che il partito abbiano in qualche misura ammorbidito alcune posizioni anti-europee. Tra l’altro, il via libera alla quarta rata del Pnrr è un segnale forte sotto questo profilo. Questa direzione è quella che si aspettava l’elettorato di Giorgia Meloni oppure è rischiosa sotto il profilo elettorale?
Quella parte dell’elettorato di sentimenti populisti che nel 2019 riversò i suoi voti sulla Lega, spesso abbandonando i Cinque Stelle, regalandole il clamoroso 34% delle europee, e che nelle politiche del 2022 è passata a Fratelli d’Italia, potrebbe essere scontenta da questo ammorbidimento – che per certi versi è una vera inversione di rotta –, ma finché l’avversario principale sarà un Pd a guida Schlein, infrequentabile per chi non ne sposi il progressismo radicale, credo che elettoralmente FdI rischi poco. A meno che, da questi delusi, il voto per il Parlamento europeo non venga interpretato come un’occasione poco rischiosa per inviare un segnale, astenendosi.
È evidente che per Meloni, in veste di leader dei conservatori, si apre una stagione complessa in vista delle elezioni di giugno. Nel suo gruppo ci sono anche realtà di altri Paesi piuttosto euroscettiche. Come uscire da questa apparente contraddizione in modo vincente, magari rinsaldando l’asse con i popolari?
Se il gruppo dei Conservatori e Riformisti cercasse un rapporto privilegiato con il Ppe – che peraltro ha al suo interno una componente decisamente ostile a questo avvicinamento –, e magari le elezioni europee segnassero un’avanzata dei nazionalpopulisti di Identità e Democrazia, si potrebbero aprire serie incrinature nella coalizione di partiti guidata da Meloni, e la mossa si trasformerebbe in un boomerang.
Al premier viene riconosciuta una certa dose di concretezza che, nella categoria della testata, la colloca al primo posto. In che cosa si è riscontrata maggiormente questa caratteristica?
Nell’abbandonare, nella prassi di governo, una buona parte delle prerogative ideologiche che la avevano caratterizzata nel decennio precedente. Delle rivendicazioni e delle promesse fatte ai tempi dell’opposizione, delle incursioni stilistiche sul terreno del populismo che per qualche tempo l’avevano caratterizzata ai tempi della rincorsa di Salvini, non rimane quasi niente. E anche qualche mossa più spregiudicata del suo esecutivo – la tassa ai superprofitti delle banche, la penalizzazione pensionistica dei medici, gli annunci di una drastica riforma del sistema giudiziario – si è presto trasformata in ballon d’essai.
Riuscirà il presidente del Consiglio, in Italia come in Europa, a fare sintesi delle diverse sensibilità e tenere assieme l’elettorato più moderato e quello marcatamente più di destra?
In Europa è più difficile, in Italia può riuscirle se i rapporti di forza elettorali con Lega e Forza Italia resteranno così sbilanciati in favore del suo partito anche dopo le europee e alcune amministrative. In caso contrario, il cammino potrebbe diventare accidentato.