La crisi siriana e il rischio di un’imminente escalation militare sono in cima alle preoccupazioni delle opinioni pubbliche in Europa, negli Stati Uniti, in Asia e nel Medio Oriente. Allo stesso modo, i governanti mostrano il segno più evidente della loro impotenza, almeno nei contesti multilaterali.
La guerra in Siria c’è già e non si tratta di scongiurarla. È una guerra civile trasformata, nell’indifferenza complice delle Nazioni Unite e dei suoi organi, in un conflitto regionale, in un tragico derby islamico nel cui campo sono entrati molti giocatori stranieri (Hezbollah a favore del regime di Bashar al-Assad e Al Qa’ida contro, tanto per fare un esempio).
L’uso delle armi chimiche, lo scorso 21 agosto, è stato – almeno per il governo Usa – il segno che si era oltrepassato il limite, quella stessa “linea rossa” che il presidente Obama aveva fissato. C’erano già state e ci sono ancora decine di migliaia di morti e milioni di profughi. Il bilancio è quello drammatico di una carneficina enorme e continua. Avvenuta nella pressoché indifferenza dei ‘Grandi’ del pianeta.
La presa di posizione di Washington con la condanna durissima per l’uso dei gas nervini e la minaccia di un intervento militare è stato molto criticato dai benpensanti europei ma ha avuto l’indubbio risultato di svegliare dal torpore le opinioni pubbliche di mezzo mondo.
Di fronte a questo scenario, la Russia ha colto la palla in balzo per esercitare un ruolo sia in Medio Oriente che nella relazione di potenza con gli Usa. Nel silenzio assordante di mezzo Occidente, Putin – che è noto per non essere un campione dei diritti civili – è riuscito nell’opera di mostrarsi il detentore della giusta interpretazione del diritto internazionale, in realtà limitandosi a bloccare con il uso veto ogni iniziativa dell’Onu. In questo contesto, e cioè di ostinato perseguimento dell’interesse nazionale di ciascuno Stato, è potuta emergere con forza e autorevolezza la voce di Papa Francesco.
Come spesso accade, la presa di posizione della Santa Sede è stata registrata non senza strumentalizzazioni. Da un lato, vi è stato il tentativo goffo e sfrontato da parte di Putin di iscrivere il Vaticano nell’elenco dei suoi “alleati” nella campagna anti-Usa e dall’altra una più generale banalizzazione del messaggio.
Bisognerebbe ascoltare gli Angelus della domenica o guardare con continuità le pagine dell’Osservatore Romano per avere la contezza puntuale che la Chiesa si esprime sempre contro la guerra, contro tutte le guerre, la maggior parte delle quali ciascuno di noi ignora.
L’appello alla pace, sia chiaro, non è affatto una questione di routine. L’apprensione di Bergoglio è profondo e si esprimerà (anche) nella veglia di preghiera. Sarebbe però un errore di comprensione della politica estera vaticana limitarne l’azione alla sola invocazione di una soluzione pacifica.
Era il 7 gennaio scorso quando il Papa, rivolgendosi al corpo diplomatico, ammonì che quella guerra non avrebbe avuto un vincitore ma solo sconfitti. Prima e dopo allora, la Santa Sede si è espressa non solo con appelli e preghiere ma anche con vere e proprie missioni di pace. Padre Dall’Oglio è stato rapito mentre tentava di battere le vie (anche le più impervie e segrete) del dialogo. Mamberti, appena riconfermato a capo degli Esteri del Vaticano, ha spiegato giovedì scorso la “strategia” della Chiesa in Siria.
La Santa Sede non ha di certo in mente uno scenario in cui tutto torna come prima e con Assad padre-padrone di Damasco. Al contrario, mette nel conto che tutto è destinato a cambiare. Sono tre i punti salienti espressi dal collaboratore del Papa: 1) ristabilire un dialogo fra le parti basato sulla libertà religiosa, tutelando la minoranza cristiana ma trovando evidentemente anche un equilibrio fra le componenti alawuite e sunnite della popolazione; 2) evitare una divisione della Siria fra singole componenti religiose; 3) conservare oltre all’unità istituzionale e sociale del Paese anche l’integrità territoriale per evitare un complessivo effetto di balcanizzazione (come sembra emergere in Siria). Mamberti ha fatto un cenno esplicito anche alla riorganizzazione di quello che sarà il prossimo governo di Damasco con la collaborazione auspicata di tutti i gruppi. Ribadendo con forza che non ci potrà essere spazio per il terrorismo.
La Chiesa ha insomma un’idea (politica) chiara. Noi?