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Cosa serve al Sud per uscire dal divario. Lo spiega Bianchi (Svimez)

Per tentare di colmare il divario tra Nord e Sud, occorre una politica industriale che metta al centro la manifattura e i servizi alle imprese. Agganciare e spendere bene i fondi del Pnrr è vitale per evitare la recessione nel 2024. La politica? Lavori per creare il terreno fertile affinché si insedino nuove aziende e lavori sugli asset strategici. Conversazione con il direttore dello Svimez, Luca Bianchi

Più che fotografare il divario tra Nord e Sud, la chiave interpretativa dell’ultimo rapporto della Svimez deve essere quella delle grandi opportunità che il Mezzogiorno può dare “all’intera nazione”. Dunque una prospettiva di rilancio, basata su due ingredienti: la messa a terra dei fondi Pnrr e lo sviluppo di una seria politica industriale. L’analisi consegnata a Formiche.net è di Luca Bianchi, direttore delll’Associazione per lo sviluppo dell’industria nel mezzogiorno.

Direttore, partiamo dall’inquadramento generale che fornisce lo studio. Il dato macro-economico è che il Mezzogiorno ha agganciato la crescita post-covid più o meno con le stesse percentuali del Nord. Cosa differenzia la “doppia” ripresa?

La qualità della crescita. Se è vero che da un lato i “freddi” numeri ci raccontano di un Sud che è stato in grado di risollevarsi più o meno come il Nord è la qualità della crescita ad essere profondamente diversa. Lo sprint è stato determinato sostanzialmente da settori a basso valore aggiunto – edilizia e turismo – che quindi non hanno creato posti di lavoro stabili e con salari elevati.

In questo senso interviene anche la spirale inflattiva, che continua a pesare?

Esattamente. L’occupazione che si è creata non è stata strutturale, ma per lo più precaria. La forza economica dei nuovi innesti nel mondo del lavoro è stata pertanto piuttosto esigua. Ed è in questo che si misura in maniera particolare il divario tra le due parti d’Italia.

Fotografata la situazione, quali sono gli ingredienti per il rilancio?

Il fattore determinante è il Pnrr. Se il Sud non sarà in grado di mettere a terra, in maniera strategica e proficua, i progetti legati al Next Generation Eu, il prossimo anno rischia – sulla base dei nostri indicatori – la recessione. Per cui è fondamentale che le politiche sul Pnrr tengano conto dell’impatto e della portata della sfida.

Non possono bastare solo gli investimenti del Pnrr?

No, infatti. Il secondo elemento chiave è legato al rilancio del Sud in termini industriali: ci sono tutte le carte in regola per farlo. Un rilancio della manifattura e dei servizi alle imprese. E mi pare che, da parte dell’esecutivo, ci siano buoni segnali in questo senso.

Secondo lei, quale deve essere il ruolo attivo della politica?

Le imprese devono poter trovare terreno fertile per insediarsi al Sud, uscendo dalla retorica che vuole il Mezzogiorno come una sorta di deserto. Oppure un’area del Paese in cui andare in villeggiatura o, ancora, solamente a vocazione agricola.

L’idea del governo, tra le altre, è quella di fare del Meridione un grande “hub” energetico. Cosa ne pensa?

Mi pare che sia una buona idea, ma questo progetto va riempito di contenuti. Non basta rendere il Sud un hub energetico, bisogna favorire gli investimenti affinché l’intero settore energetico ruoti attorno al Meridione. Di qui la necessità anche di rafforzare gli asset industriali già presenti, prevedendo – anche attraverso i fondi europei – un robusto piano che riguarda le infrastrutture. Insomma, anche per la sua centralità nel Mediterraneo, il Sud deve essere considerato come un luogo in cui portare avanti una vera politica industriale.


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