Anche Mario Monti ha cambiato idea sulle regole di finanza pubblica europea. In un editoriale su Il Corriere della sera l’ex premier riflette sul confronto tra il vecchio Patto di stabilità, sottoscritto nel 1997, e quello che si intravede ancora in controluce, dando indicazioni su come affrontare le difficili prospettive future
Ed ora anche Mario Monti, a torto o ragione, considerato uno dei principali esponenti del credo germanico in tema di finanza pubblica, sembra aver cambiato idea. Felicitazioni vivissime. Ritenere che la vecchia austerity vada sepolta di fronte alle difficili prospettive europee non può che far piacere. Ancor di più se si considera che quella stessa distinzione tra il “debito buono” e quello “cattivo” che Monti, al contrario di Mario Draghi, non aveva accettato, appare tra le righe del suo editoriale.
“La Germania in primo luogo, e con essa tutta l’Europa, – osserva l’ex presidente del Consiglio, nel suo editoriale su Il Corriere della sera – non possono avere una crescita adeguata finché nel loro Paese si mantiene lo Schuldenbremse, freno sul debito, come regola costituzionale” al posto “di qualcosa di simile a una golden rule che era nella Costituzione tedesca nei decenni del miracolo economico”. Sollievo per le nostre orecchie e fine di quel “dilemma tecnocratico” che Giuliano Ferrara aveva cercato di analizzare dalle pagine de Il Foglio (5 maggio 2023).
Arrivati a questo punto, è bene seguire il processo logico che porta ad una simile conclusione. Il confronto è tra il vecchio Patto di stabilità, sottoscritto nel 1997, e quello che si intravede ancora in controluce. Allora “le opinioni pubbliche di Germania, Olanda e altri Paesi a valuta forte erano contrarie all’idea che il marco e il fiorino sarebbero presto scomparsi, sostituiti dall’euro, moneta che sarebbe stata condivisa anche da Francia, Belgio, forse perfino da Italia e Spagna, Paesi propensi a frequenti svalutazioni”.
“Nacque così il Patto di stabilità e crescita, scritto con l’accetta e per questo criticato dagli economisti, che però servì allo scopo. Senza quel grezzo documento” tuttavia “l’euro probabilmente non sarebbe nato”. Si trattò pertanto di un parto difficile, ma salutare. Senza l’euro, di fronte alle grandi intemperie che stanno sconvolgendo gli equilibri geopolitici planetari, oggi l’Europa, e con essa l’Italia, sarebbero di gran lunga più indifesi: in balia dell’incalzare degli eventi.
Ne sono tutti ugualmente consapevoli? Questa è oggi la grande incognita. Che riguarda soprattutto la Germania a partire dai comportamenti di Christian Lindner, il ministro federale delle Finanze. “Il combinato disposto dell’esigenza sua di apparire in Germania come rigoroso — soprattutto dopo la pesante sentenza della Corte costituzionale — senza però esserlo troppo nei confronti delle esigenze altrui”, anch’esse collegate con esigenze interne dei singoli Partners, ha reso tutto poco trasparente e, per molti versi, incomprensibile al grande pubblico.
Il vecchio Patto del 1997 “rifletteva l’egemonia della Germania, àncora di stabilità e capace di orientare al lungo periodo l’integrazione europea, fondata su un’economia sociale di mercato competitiva e sulla disciplina di bilancio”. Obiettivi che, a giudicare dal confronto con le altre grandi aree del Pianeta, almeno a nostro avviso, non sembrano essere stati raggiunti.
Motivo per cui, nelle mutate condizioni, sarebbe “auspicabile – suggerisce Mario Monti – che la Commissione, ma anche l’Italia e la Francia, puntassero a dare molto più vigore, nella nuova governance, alla procedura contro gli squilibri macroeconomici, per spingere la Germania ad adempiere sistematicamente al ruolo di sostegno macroeconomico per l’Europa, a fronte delle possibili conseguenze recessive della maggiore aderenza degli altri Stati membri alle regole di bilancio”.
Fin dall’inizio, il vecchio Patto era “troppo parco nel dare spazio agli investimenti pubblici, con conseguenze che hanno pesato a lungo sulla crescita e sull’ammodernamento strutturale delle economie europee. La nuova versione non è in questo molto diversa”. Occorrerebbe quindi una svolta. “I cittadini”, sono infatti in grado di comprendere “la distinzione sensata tra spesa per consumo e spesa per investimenti (da controllarsi finché si vuole), mentre considererebbero un po’ folle l’Europa se si facesse leggere loro la litania in gotico del nuovo Patto di stabilità”. Come se l’Europa non fosse oggi “circondata da Putin, Erdogan, Xi Jinping e forse presto da Trump”.
Che fare, allora? “Se per caso dovesse non esserci un accordo sul nuovo Patto, anziché cesellare ancora il testo in cerca del consenso di tutti, forse sarebbe meglio per l’Europa tornare al tavolo di progettazione della Commissione”. E discutere se non convenga, “nell’interesse stesso della Germania, avere un’Europa con bilanci certo disciplinati (quello Ue e quelli nazionali), ma disciplinati con efficaci strumenti contemporanei che la preparino alle sfide di domani, anziché con logiche nate quando nell’Europa Centrale si temeva che l’attacco più pericoloso potesse venire dai disinvolti Paesi del Club Med.”