Skip to main content

Dov’è finita l’Italia politica. Il commento di Sisci

politica industriale

La politica è abbandonata dai cittadini nell’indifferenza dei governanti, per cui l’amministrazione è spesso un impiego per sbarcare il lunario. Nella dissoluzione resta il magnete culturale, ma basterà alla penisola per sopravvivere?

L’Italia è stata per millenni una espressione geografica con una forte comunità culturale intorno. Solo dall’Ottocento ha cominciato a esserci l’idea di una entità politica, ed è diventata tale nel 1861 con la proclamazione del regno.

Il nuovo Stato nacque dall’incrocio di una volontà romantica per una identità istituzionale italiana senza precedenti, e interessi geopolitici esteri, principalmente inglesi e francesi, di contrastare l’influenza austriaca e russa nel centro del Mediterraneo.

La magia di questa nuova Italia impazzì prendendo la tangente durante il fascismo. Dopo la Seconda guerra mondiale ha cercato di trovare un equilibrio nuovo in quanto confine del mondo libero contro l’avanzata dell’impero sovietico.

Infine, negli ultimi trent’anni, ha perso gradualmente la sua direzione e il suo senso di esistenza. l’Italia sembra si stia sciogliendo. Oltre il 50% degli elettori non si reca alle urne ormai da 15 anni e la tendenza sembra aggravarsi. Cioè la maggioranza dei votanti sceglie con i piedi di essere contro l’offerta dei partiti.

Circa due milioni di italiani sono all’estero a lavorare, non da braccianti, operai, come accadeva un tempo, ma da scienziati, specialisti, sognatori di fortuna e mondi migliori. Vanno alla Nasa in America o a fare il cameriere a Londra, piuttosto che fare lo stesso mestiere a casa. Sono i migliori del Paese che hanno scelto di emigrare.

Circa due milioni di stranieri mandano avanti il Paese lavorando in mansioni essenziali che gli italiani non vogliono più svolgere. Pagano le tasse, mandano i figli alla scuola del quartiere e spesso questi ragazzi sono tra i più bravi. Ma non votano, non partecipano alla vita democratica e costruttiva del Paese.

Molte grandi imprese private hanno portato la loro sede all’estero e stanno uscendo fuori. Le imprese medie e piccole non vogliono diventare grandi per paura di perdere il controllo familiare oppure entrare nel mirino dello Stato sentito come esattore/tiranno fiscale. Milioni di italiani non sognano di impegnarsi e fare carriera ma di avere un reddito, una rendita, che sia di cittadinanza o meno. Le famiglie più abbienti mandano i figli a studiare all’estero e si organizzano perché non tornino in patria.

In queste condizioni quali sono le speranze a lungo termine di crescita nazionale? Si è spenta la voglia degli italiani di fare l’Italia né forse ci sono più tanti interessi internazionali a tenere in piedi il PBaese, troppo complicato per ritorni troppo scarsi.

Per tutti questi soggetti lo Stato italiano non serve. Gli imprenditori non sono chiamati a fare il Paese ma curare la loro impresa. Se una serie di loro sceglie di emigrare non è che essi tradiscono la patria, è che la patria ha tradito loro. Così per i giovani che se ne vanno, eccetera.
D’altro canto gli emigrati, che stanno in sala macchine, che forse vorrebbero essere italiani, sono tenuti fuori. La vecchia linfa non c’è più, la nuova linfa non arriva. L’Italia politica non c’è più.

Resta l’entità culturale, geografica, sempre fortissima, anzi, forse più che in passato perché cibo, musei, arte, creatività devono compensare una organizzazione sistemica che smette di esistere.

La guida politica e intellettuale non affronta questi problemi forse perché non li vede; o forse perché li considera formidabili, troppo grandi, e si concentra sulla propria sopravvivenza, gli ultimi sondaggi di opinione, l’orizzonte delle prossime elezioni con elettori disertandi.
Quindi l’amministrazione diventa principalmente un impiego per sbarcare il lunario.

La politica invece ha un impatto in tempi lunghi, non brevi. I sondaggi del giorno per giorno non è chiaro cosa esprimono, mentre una scelta che muova le cose ha bisogno di molti anni, decenni spesso.

C’è quindi uno iato temporale e mentale tra intervallo reale (anni) e intervallo percepito (giorni). È come cercare di spiegare la filosofia tomistica con un video di Tik-Tok, semplicemente non avverrà mai, o se avvenisse bisogna sapere che è una rozza approssimazione e come tale va presa.

Senza la misura di prudenza ciascuno andrà per la sua strada, la filosofia e il video, senza incontrarsi mai. Così come sta avvenendo tra l’Italia politica e gli italiani, ciascuno per la sua via, separatamente.



×

Iscriviti alla newsletter