Skip to main content

Governo poco lucido e in ritardo. Per questo la Cina è finita in deflazione

Se i prezzi non risalgono e non si mette sotto controllo il debito, Pechino può dire definitivamente addio ai suoi sogni di gloria. E la colpa è solo sua. L’analisi di Morgan Stanley

Ventuno anni fa, correva l’anno 2002, l’allora futuro governatore della Federal Reserve (lo sarebbe diventato nel 2006), Ben Bernanke, teneva un discorso passato alla storia, in cui metteva in guardia le grandi economie dai guai della deflazione. Un vero e proprio cancro per l’economia, quando i prezzi non salgono a causa di una domanda depressa. Non si consuma, non si compra. La Cina ne sa qualcosa, tanto da rimetterci la corsa per il posto di seconda grande potenza mondiale, ormai sempre più prerogativa dell’India.

Disse Bernanke: “una deflazione prolungata può essere altamente distruttiva per un’economia moderna e dovrebbe essere contrastata con forza”. Due decenni dopo, mentre il mondo lotta ancora contro l’inflazione, quasi ormai domata al prezzo di tassi di interesse a livelli piuttosto pericolosi, il messaggio sembra essere stato vergato proprio per la Cina, che si trova ad affrontare la sfida della deflazione. Come raccontato nei giorni scorsi da Formiche.net, i consumi nel Dragone sono ormai in caduta libera. E questo nonostante gli sforzi del governo per tenere i tassi sotto controllo e le innumerevoli iniezioni di capitale. Niente da fare.

Chetan Ahya è il capo di Morgan Stanley per l’Asia, autore di un’analisi piuttosto spietata nei confronti della Repubblica Popolare. “Il deflatore del Prodotto interno lordo cinese (strumento che consente di depurare la crescita del Pil dall’aumento dei prezzi, ndr), la misura dei prezzi, che comprende tutti i beni e servizi di un Paese, è pari a meno di 1,4% e si è contratto per due trimestri consecutivi. Di conseguenza, la crescita del Pil nominale della Cina è stata solo del 3,5% nel terzo trimestre, molto inferiore al 6,4% degli Stati Uniti. Uno scenario deflazionistico pone alcune sfide”, si legge.

Quali? “In primo luogo, i tassi reali, tenendo conto della deflazione, aumenteranno, aumentando l’onere sui debitori. In secondo luogo, anche se la crescita del debito rallenta, probabilmente rimarrà superiore alla crescita del Pil nominale. E quindi il rapporto debito/Pil continuerà a salire. Ancora più importante, un deflatore del Pil più debole influisce negativamente sull’andamento dei ricavi e dei profitti aziendali. Se la deflazione continua a intaccare questi fattori, le aziende ridurranno la crescita dei salari, creando un circolo vizioso di domanda aggregata ancora più debole e pressioni deflazionistiche”. E qui è il primo punto. Non solo la domanda batte la fiacca, ma i prezzi cadono. Questo vuol dire che dentro le mura di casa, i cinesi non consumano più e l’unica speranza del Dragone rimane l’export.

Ma la banca d’affari americana si spinge oltre, provando ad abbozzare una ricetta per permettere alla Cina di togliersi la pistola alla tempia. “Per affrontare la sfida della deflazione, i politici devono utilizzare tutta la forza delle politiche monetarie e fiscali per aumentare la domanda aggregata. Stanno già allentando sia le politiche monetarie che quelle fiscali, ma riteniamo che gli sforzi compiuti finora porteranno solo a un graduale miglioramento del deflatore del Pil. Le misure non saranno adeguate a portare il deflatore nella fascia del 2-3% nei prossimi due anni, che secondo noi sarebbe favorevole a una crescita sana dei ricavi e dei profitti aziendali”.

E la colpa è solo del partito, responsabile di essersi mosso con ritardo. “La risposta politica finora è stata in gran parte esitante. In parte, ciò riflette il fatto che i politici erano preoccupati per l’accumulo improduttivo di debito e avevano innescato il processo di riduzione della leva finanziaria. Ad esempio, anche se gli ostacoli alla crescita hanno iniziato a manifestarsi dall’inizio del secondo trimestre di quest’anno, è stato solo a luglio che sono state introdotte misure di allentamento politico più concertate e anche queste non sono sufficienti ad arrestare in modo decisivo gli ostacoli alla crescita”. La sfida, insomma, “è che un allentamento non sufficientemente energico manterrà vivo il rischio di un circolo vizioso debito-deflazione”.

×

Iscriviti alla newsletter