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Kyiv in Ue, il dialogo con Orban e il ruolo fondamentale dell’Italia. Parla Gardini

Con Orban bisogna instaurare un dialogo: ciò che ha fatto Meloni per poter arrivare al via libera sull’iter che permetterà l’integrazione dell’Ucraina in Ue. Le elezioni europee del 2024 saranno uno spartiacque: bisogna orientarsi verso un’Europa dei popoli, per rafforzarci politicamente. Conversazione con la deputata di FdI, Elisabetta Gardini

“L’Europa ha un grande bisogno di cambiare paradigma, sennò rischia di diventare un gigante burocratico, ma un nano politico. L’avvio dell’iter di integrazione dell’Ucraina, in questo senso, è un segnale molto importante in cui l’Italia ha giocato un ruolo fondamentale”. Ne è certa Elisabetta Gardini, deputata di Fratelli d’Italia e componente della Commissione Affari Esteri alla Camera.

Onorevole Gardini, se è vero che il Consiglio europeo ha dato il via libera all’ingresso dell’Ucraina è altrettanto vero che il veto dell’Ungheria di Orban rappresenta un ostacolo notevole. Viene bloccata la revisione del quadro finanziario pluriennale e gli aiuti all’Ucraina. 

Il ruolo dell’Italia per l’integrazione dell’Ucraina in Europa è stato fondamentale perché Meloni ha dimostrato di essere una grande leader e ha parlato con Orban, uscendo dal pregiudizio ideologico di qualcuno che si ritiene addirittura sbagliato dialogare con il presidente ungherese.

Questo niet di Orban come si pone nella logica delle alleanze a livello europeo?

Orban non è nell’Ecr. È uscito dal Ppe e ora è in una sorta di “limbo” per cui eviterei di mettere il carro davanti ai buoi. La posizione dell’Italia sull’Ucraina è molto chiara e, in questo, l’azione del governo sta orientando anche la politica europea a un rafforzamento del nostro posizionamento geopolitico.

Un cambio di paradigma?

Certo. L’Europa in primis è sempre stata molto restia all’allargamento. Ora, forse, qualcosa sta cambiando e stanno prevalendo nuove esigenze rispetto ai vecchi schemi. Il rischio, se non si dovesse compiere questo passaggio anche culturale, sarebbe quello di trovarsi un gigante burocratico ma un nano politico. Dal punto di vista geopolitico, questa condizione sarebbe fortemente penalizzante.

Mi sembra una proiezione fortemente elettorale. 

Lo è. Penso che le elezioni di primavera saranno un appuntamento fondamentale, di cui anche gli elettori colgono la portata. Il nostro obiettivo è quello di arrivare a un modello di Europa che richiami lo spirito dei padri fondatori. Un’Europa dei popoli, di patrie. Al momento, nel Vecchio Continente, mancano due pilastri fondamentali: la pace e il benessere. La rotta va invertita.

Alla luce di queste considerazioni, cosa si aspetta dal consiglio europeo straordinario di gennaio, anche a seguito della “frenata” di Meloni sul Patto di Stabilità?

Mi sento abbastanza rassicurata dalle parole del premier Meloni, quando definisce la revisione del Patto di stabilità una battaglia alla nostra portata. La linea è molto chiara: non verrà firmato nulla dai componenti di questo esecutivo che possa in qualche modo portare nocumento al Paese. Finalmente, abbiamo la postura dei grandi Paesi. Le direttrici sono molto chiare: flessibilità sugli investimenti e uscita dalle vecchie logiche rigide che ci hanno pesantemente condizionato in questi anni.

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