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Export, digitale e green. La riscossa del Mezzogiorno

Quest’anno quasi nove imprese meridionali su dieci prevedono un aumento dei ricavi, contro una quota dell’81% al Nord. Segno di un ottimismo che può essere il sale di una ripresa che fa bene all’Italia. Parola di Mediobanca, Centro Studi Tagliacarne e Unioncamere

Qualcuno potrebbe chiamarla la rivincita del Sud. E forse, a leggere i dati, pare proprio così. Perché la verità è che c’è un Mezzogiorno che dimostra di poter correre più veloce del resto d’Italia. Ed è quello delle medie imprese industriali del Meridione. Tutto nero su bianco, proprio mentre il governo sta mettendo a terra la Zes unica per il Sud, nell’ultimo rapporto “I fattori di competitività delle medie imprese del Mezzogiorno: il ruolo dei capitali strategici” realizzato dall’Area Studi di Mediobanca, dal Centro Studi Tagliacarne e Unioncamere e presentato oggi a Catania presso la Camera di Commercio.

Ebbene, l’87% di queste ambasciatrici del capitalismo familiare, ovvero le piccole e medie imprese da Roma in giù, conta di chiudere quest’anno con un aumento di fatturato (contro il 76% di quelle del Centro Nord) mentre il 92% prevede aumenti delle esportazioni (contro l’81%). Come si spiega? Semplice, si tratta di realtà produttive che guardano al futuro con maggiore ottimismo: il 40% prevede infatti un aumento significativo della propria quota di mercato (contro il 22,9% delle altre aree d’Italia).

Anche per questo motivo, sei medie imprese del Mezzogiorno su dieci investiranno in digitale e green, proseguendo il cammino intrapreso tra il 2020 e il 2022 o con nuovi investimenti entro il 2025. Il restante 40% non ha invece ancora investito nella duplice transizione o non intende più farlo. E questo perché sono le barriere economiche a frenare più della metà delle medie imprese del Sud dal fare investimenti 4.0 (contro il 30% delle altre medie imprese), mentre quelle culturali ostacolano prevalentemente la transizione green (38% al Sud, 33% altrove).

Si tratta di una realtà produttiva, quella delle aziende impegnate nella cultura, composta da appena 361 realtà che realizzano complessivamente il 12,6% del valore aggiunto manifatturiero totale dell’area. In Sicilia se ne contano una quarantina con fatturato aggregato pari a 1,8 miliardi di euro e una forza lavoro di oltre 4.500 unità. “Le medie imprese sono un universo composto ancora da poche aziende nel Mezzogiorno, ma stanno dimostrando di potere fare la differenza per sostenere lo sviluppo del Sud e recuperare il ritardo accumulato con il resto del Paese, anche grazie ad una loro elevata propensione ad investire nella duplice transizione e sui temi Esg”, ha subito chiarito il presidente di Unioncamere Andrea Prete.

“Per questo vanno incoraggiate, anche attraverso una più equa fiscalità, affinché possano proliferare numericamente e contribuire a creare nel Meridione un tessuto produttivo più solido e competitivo a vantaggio dell’Italia intera.” Secondo Gabriele Barbaresco, direttore dell’Area Studi di Mediobanca invece, “non esiste un unico Mezzogiorno a cui attribuire un’indiscriminata etichetta di area depressa e senza speranza, ma più Mezzogiorni, alcuni dei quali intraprendenti e ponte di collegamento con il Nord. La provincia di Catania, ad esempio, ha una densità imprenditoriale superiore a quella di Forlì-Cesena, Pesaro-Urbino e Parma. È fondamentale valorizzare le iniziative imprenditoriali di successo del Sud, certamente nell’ambito delle medie imprese e diffonderle nelle aree meno sviluppate”.

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