La Dichiarazione sulle benedizioni è un passo decisivo per andare verso una società in uscita, verso l’umanità, una società non chiusa, non rigida, ma aperta, anche alla misericordia, per chi crede ovviamente quella del Padre. La riflessione di Riccardo Cristiano
Mi ha molto interessato incappare per caso in una chat molto critica della Dichiarazione “Fiducia Supplicans” con cui la Congregazione per la Dottrina della fede ha legittimato la benedizione di persone in unione irregolare o omosessuale che la chiedano.
Ma prima di parlare di questo inatteso dettaglio personale devo dire qualcosa del testo e delle impressioni che in me ha destato da subito. Il passaggio a mio avviso decisivo di questa Dichiarazione – la precedente risale ai tempi del cardinale prefetto Joseph Ratzinger, la Dominus Jesus, e questo ne conferma l’importanza, comprovata anche dal fatto che appena due anni fa ci si era espressi in senso opposto – è questo: “La Chiesa, inoltre, deve rifuggire dall’appoggiare la sua prassi pastorale alla fissità di alcuni schemi dottrinali o disciplinari, soprattutto quando danno «luogo ad un elitarismo narcisista e autoritario, dove invece di evangelizzare si analizzano e si classificano gli altri, e invece di facilitare l’accesso alla grazia si consumano le energie nel controllare».
Perciò, quando le persone invocano una benedizione non dovrebbe essere posta un’esaustiva analisi morale come precondizione per poterla conferire. Non si deve richiedere loro una previa perfezione morale”.
Ho subito pensato a quando ero ragazzo: maggiorenne ma ancora ragazzo, partivo per viaggi avventurosi con amici “pericolosi” che mio padre non apprezzava ma non poteva proibirmi di andare: se gli avessi chiesto di benedirmi lo avrebbe fatto o mi avrebbe negato la sua benedizione, rendendo il mio viaggio ancor più ribelle, incontrollato, scapestrato o quel che volete?
Sono idee mie, che nulla hanno a che fare col testo, che è molto più profondo di me e inserisce una distinzione fondamentale, quella tra benedizione liturgica, la quale “richiede che quello che si benedice sia conforme alla volontà di Dio espressa negli insegnamenti della Chiesa”, conferma quindi i sacramenti e non ha nulla a che fare con la benedizione pastorale, che ognuno di noi può chiedere per il semplice desiderio di essere aiutato da Dio nel suo cammino.
Si parla così di benedizione discendente (da Dio) e ascendente, cioè invocata e chiesta da noi. Un detenuto, capisco io, può chiedere di essere benedetto nella sua difficilissima prova, benedirlo non vorrà certo dire condividere o lodare il reato per cui è stato arrestato e condannato. È ben noto poi che un assassino può essere assolto. Nel caso dell’unione con un’altra persona ritenuta irregolare (anche omosessuale) invece la semplice richiesta di un aiuto che nulla legittima sacramentalmente di quell’unione, rimanendo la Chiesa convinta della sua dottrina, costituirebbe uno scandalo. L’assassinio no? L’aver ucciso una persona, magari intenzionalmente, non costituisce scandalo alcuno? Certo le fattispecie sono diverse, ma occorre che persone semplici, come me, capiscano.
Capisco bene invece, e apprezzo, la raccomandazione a operare in modo da non creare confusione tra le due benedizioni: “Considerate dal punto di vista della pastorale popolare, le benedizioni vanno valutate come atti di devozione che «trovano il loro spazio al di fuori della celebrazione dell’Eucaristia e degli altri sacramenti […]. Il linguaggio, il ritmo, l’andamento, gli accenti teologici della pietà popolare si differenziano dai corrispondenti delle azioni liturgiche». Per la stessa ragione «si eviti di apportare modalità di “celebrazione liturgica” ai pii esercizi, che debbono conservare il loro stile, la loro semplicità, il proprio linguaggio». I pii esercizi, questa espressione mi riguarda profondamente, riesco bene a capire cosa si intenda dire a me personalmente o ad altre persone concrete e da parte di chi, pur sapendo cosa sarebbe “perfetto”, mi capisce ed ha pietà per me, nella mia imperfezione.
Sembra un discorso banale, ma è importantissimo. Modifica il nostro immaginario, o l’immaginale del giudice severo, arcigno, forse anche cattivo, coadiuvato da severi pubblici ministeri pronti a puntare il loro dito verso di noi, i reprobi, i colpevoli, meritevoli di feroci castighi: colgo vero un altro immaginario da sempre citato e presente per noi, quello del padre misericordioso, che ci accompagna, nelle difficoltà della vita, per incoraggiarci a fare meglio, a non cadere rovinosamente, a cercare comunque Dio nella nostra vita, come possiamo. Non è che se non possiamo trovarlo come sarebbe dovuto tutto è perduto, per sempre, totalmente e irrimediabilmente. Possiamo sempre cercare Dio.
Arrivo così al punto che riconcilia il discorso con la logica, e con la vera pietas, a mio avviso: “Ci sono diverse occasioni nelle quali le persone si avvicinano spontaneamente a chiedere una benedizione, sia nei pellegrinaggi, nei santuari, ed anche per strada quando incontrano un sacerdote. A titolo esemplificativo, possiamo rinviare al libro liturgico De Benedictionibus che prevede una serie di riti di benedizione per le persone: anziani, malati, partecipanti alla catechesi o a un incontro di preghiera, pellegrini, coloro che intraprendono un cammino, gruppi e associazioni di volontari, ecc. Tali benedizioni sono rivolte a tutti, nessuno ne può essere escluso. Nelle premesse del Rito di benedizione degli anziani, ad esempio, si afferma che lo scopo della benedizione «è quello di esprimere agli anziani una fraterna testimonianza di rispetto e di gratitudine, e di ringraziare insieme con loro il Signore per i benefici da lui ricevuti e per le buone azioni da essi compiute con il suo aiuto». In questo caso l’oggetto della benedizione è la persona dell’anziano, per la quale e con la quale si rende grazie a Dio per il bene da lui compiuto e per i benefici ricevuti. A nessuno si può impedire questo rendimento di grazie e ciascuno, anche se vive in situazioni non ordinate al disegno del Creatore, possiede elementi positivi per i quali lodare il Signore”.
Queste ultime parole sono quelle che interpellano ciascuno di noi davanti alla vita. Non vediamo in noi stessi come in altri, “peccatori” che in qualcosa non lo sono? Eccoci al punto di tutti questi punti: Nell’orizzonte qui delineato si colloca la possibilità di benedizioni di coppie in situazioni irregolari e di coppie dello stesso sesso, la cui forma non deve trovare alcuna fissazione rituale da parte delle autorità ecclesiali, allo scopo di non produrre una confusione con la benedizione propria del sacramento del matrimonio. In questi casi, si impartisce una benedizione che non solo ha valore ascendente ma che è anche l’invocazione di una benedizione discendente da parte di Dio stesso su coloro che, riconoscendosi indigenti e bisognosi del suo aiuto, non rivendicano la legittimazione di un proprio status, ma mendicano che tutto ciò che di vero di buono e di umanamente valido è presente nella loro vita e relazioni, sia investito, sanato ed elevato dalla presenza dello Spirito Santo. Queste forme di benedizione esprimono una supplica a Dio perché conceda quegli aiuti che provengono dagli impulsi del suo Spirito – che la teologia classica chiama “grazie attuali” – affinché le umane relazioni possano maturare e crescere nella fedeltà al messaggio del Vangelo, liberarsi dalle loro imperfezioni e fragilità ed esprimersi nella dimensione sempre più grande dell’amore divino”.
Questo modo di vivere la fede cambia la nostra rigidità, trasforma la nostra cultura chiusa, quella diffusa certezza assoluta, in questo senso dogmatica, che entra in tanti aspetti non necessariamente religiosi del nostro pensare.
Ero grosso modo qui quando mi sono trovato in una chat di musulmani integralisti o fondamentalisti, o rigoristi, o letteralisti, come si preferisca dire o preferiscano dire di sé. Ma per rendermene conto c’è voluto un po’ di tempo perché credevo di essermi imbattuto in una chat di cattolici fondamentalisti, o rigoristi, o letteralisti. La differenza era difficilmente percepibile. Bisognava arrivare alle invocazioni ad Allah per accorgersene. Ma i termini contro papa Francesco e la sua visione di padre misericordioso era la stessa (e altrettanto strana per me visto che ogni sura coranica comincia invocando Dio clemente e misericordioso).
Vi ho letto che “all’improvviso dopo 2mila anni ha ricevuto la rivelazione che gli dice di andare a benedire gli omosessuali”. E quindi: “Che buio…” e ancora, “ciò che conta per i cattolici è San Paolo”. Insomma, non voglio dire che il letteralismo è una malattia sempre uguale, che il rigorismo sia lo stesso per tutti, non lo so. Ma credo che questa Dichiarazione sia un passo decisivo per andare verso una società in uscita verso l’umanità, una società non chiusa, non rigida, ma aperta, anche alla misericordia, per chi crede ovviamente quella del Padre.