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ll federatore a sinistra non funziona. E Meloni in Ue segua la chiave Draghi. Parla Panarari

L’idea di un federatore nel centrosinistra non funziona perché il contesto è molto mutato. Conte fa la sua battaglia e, nella logica del tutti contro tutti, vorrebbe fare il “mazziere” dopo le  Europee. I pro e contro dell’eventuale candidatura di Schlein e la necessità, per l’Italia, di entrare nella Commissione. Gli scenari del sociologo della comunicazione all’Università di Modena e Reggio Emilia, Massimiliano Panarari

L’idea di un federatore per il centrosinistra “poteva avere un senso, ma in un contesto diverso. Ma nella logica del tutti contro tutti, alle Europee, sarebbe impossibile che si traducesse in risultati concreti. E una cosa del genere potrebbe dare a Giuseppe Conte il ruolo (o per lo meno l’ambizione) di mazziere”. A dirlo è Massimiliano Panarari, sociologo della comunicazione all’Università di Modena e Reggio Emilia.

Romano Prodi ha lanciato, dal palco della kermesse dem, la figura del federatore per il centrosinistra. Perché, secondo lei, non funzionerebbe?

Non è male come proposta in realtà. Anzi, fu proprio Romano Prodi in una certa fase storica del centrosinistra, il “federatore”. Ossia una personalità in grado di allargare il perimetro tradizionale dell’elettorato di sinistra e dialogare con altri modi. Ora il contesto è profondamente mutato e, con il sistema elettorale previsto per le elezioni Europee, non sarebbe più una soluzione praticabile.

Perché, secondo lei, in questa prospettiva Conte potrebbe uscirne meglio di altri?

La limitata differenza di consensi tra Pd e Movimento 5 Stelle apre una competizione a sinistra che legittima Conte a correre la propria gara. Il Movimento continua a essere una forza populista che intercetta voti al di là del perimetro riformista. E alle Europee, grazie al sistema proporzionale, il leader pensa di uscirne meglio rispetto ai dem. Qui si apre un altro nodo di fondo. I pentastellati non fanno davvero parte dello schieramento progressista e probabilmente non ne vogliono neanche far parte. Al netto di un evidente riposizionamento su certi temi.

Conviene, in questo contesto, alla segretaria del Pd Elly Schlein candidarsi alle Europee?

Ci sono elementi a favore ed elementi a sfavore. I pro sarebbero legati a un’ulteriore polarizzazione del dibattito in chiave anti-Meloni principalmente. Tra l’altro, se la segretaria si candidasse potrebbe riaccendere gli entusiasmi dell’ala movimentista del Pd. D’altra parte, c’è un’alta probabilità di prendere meno voti di Meloni. Va detto però che con il sistema elettorale (con il ticket) potrebbe aiutare a dare spazio all’ala riformista nella composizione delle liste. Dando spazio agli amministratori, potrebbe contare su una buona dote di consenso. Insomma, il quadro è complesso.

Per Meloni si configurano le stesse problematiche?

In realtà Meloni ne uscirebbe comunque vincente. Benché ultimamente stia registrando un lieve calo del consenso, la candidatura alle Europee sarebbe un modo per confermare la sua leadership nel centrodestra sia a livello nazionale che a livello europeo.

Aleggia, in particolare fra i presidenti delle Regioni, una questione che si presenta trasversale: l’ipotesi di introdurre il terzo mandato. Cosa ne pensa?

La ritrosia del centrodestra a questo tipo di iniziativa nasce dal fatto che vogliano tentare l’assalto alla Regione Emilia-Romagna. D’altra parte, in ottica di giochi interni del centrodestra, Fratelli d’Italia vuole rivendicare il suo ruolo in regioni nelle quali governa Forza Italia o, in particolare al Nord, la Lega. Qui entrano in gioco Massimiliano Fedriga e Luca Zaia. Il rischio di un eccessivo accentramento di poteri in capo alle regioni non esiste. Anzi, il terzo mandato nelle Regioni che funzionano, sarebbe anche uno strumento per ridurre la distanza tra elettorato e istituzioni.

Quale prevede possa essere l’esito delle Europee?

Mi pare difficile che verrà cambiata, nel profondo, la governance europea. Magari con qualche sfumatura differente, ma penso si riproporrà il modello che vede una coalizione larga tra Popolari, Socialisti, Liberali e sostegno dei Verdi. La campagna d’Europa di Meloni, ossia l’aver usato il Mes come arma di ricatto verso la Commissione non ha portato a grandi frutti. Il “condominio” franco-tedesco si è rinsaldato. L’unica chiave per ottenere un risultato in Europa è la via Mario Draghi. L’ambiguità non paga. Al di là della concorrenza che l’Ecr subisce a destra da parte di Id, l’Italia non può essere fuori dalla Commissione.

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