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Cosa racconta il caso Uss della nuova vita dei servizi segreti russi

Secondo Soldatov e Borogan, dopo le difficoltà legate all’invasione dell’Ucraina, i servizi segreti di Mosca si stanno sempre più affidando a cittadini stranieri. Come nel caso dell’estradizione dall’Italia del manager che doveva essere estradato negli Stati Uniti

“La rete di intelligence esterna russa pare tornata di prepotenza. E sta diventando più ingegnosa, affidandosi sempre più a cittadini stranieri – come la banda serba che ha aiutato [Artem] Uss, per esempio – per aggirare le restrizioni imposte ai russi”. A scriverlo sono Andrei Soldatov e Irina Borogan, nonresident senior fellow del Center for European Policy Analysis e fondatori del sito Agentura.ru, che si occupa delle attività dei servizi segreti russi.

Il caso di Uss, figlio di un politico molto vicino al Cremlino fuggito a marzo dai domiciliari in Italia all’indomani del via libera all’estradizione verso gli Stati Uniti, è emblematico della riorganizzazione dell’intelligence russa dopo l’invasione dell’Ucraina e la successiva risposta occidentale. “Nella primavera del 2022, nei mesi successivi al lancio dell’invasione da parte del presidente russo Vladimir Putin, le agenzie di intelligence russe sembravano disorientate e confuse. Uno dopo l’altro, i Paesi europei avevano cacciato i diplomatici russi”, scrivono i due esperti. “Secondo una stima britannica, erano stati espulsi dall’Europa circa 600 funzionari russi, di cui forse 400 erano ritenuti spie. Anche l’FSB, il servizio di sicurezza interno russo, aveva mal valutato il tipo di resistenza che le forze russe avrebbero dovuto affrontare in Ucraina, ipotizzando che la Russia avrebbe potuto conquistare rapidamente Kiev. Questo ha contribuito alla modesta prova della Russia”.

Ora la situazione è diversa, con l’intelligente russa che si avvale di cittadini stranieri per le sue attività, tra cui “non solo lo spionaggio in Occidente e il monitoraggio delle consegne di armi all’Ucraina, ma anche l’applicazione di una crescente pressione sugli esuli russi e sugli oppositori del regime di Putin che sono fuggiti all’estero dall’inizio della guerra”. Le prove di questa attività stanno emergendo ovunque, dalla Georgia e dalla Serbia a Paesi della Nato come la Bulgaria e la Polonia, continuano. Tutto ciò, sommato alla volontà di Putin di cercare di ripristinare la gloria del KGB di staliniana memoria e avendo imparato la lezione sovietica secondo cui non è necessaria l’adesione ideologica per reclutare qualcuno ma basta offrire un’alternativa all’Occidente dipinto come corrotto, suggerisce che “le attività di intelligence russa in Europa e altrove potrebbero rappresentare una minaccia significativamente maggiore” per l’Occidente “di quanto si pensasse nelle prime fasi della guerra”.

Secondo Soldatov e Borogan, “Putin ha adottato un approccio flessibile e pragmatico nei confronti dei suoi servizi di intelligence, giocando tra l’onnipresente paura delle epurazioni e l’incoraggiamento delle agenzie a essere più innovative per riconquistare terreno in Occidente”. Uno dei risultati sembra essere stato, continuano, un notevole aumento di operazioni estere più ambiziose nell’ultimo anno, tra cui presunte operazioni di sabotaggio, nonché l’esfiltrazione di Uss e l’intensificazione degli sforzi di reclutamento in diversi Paesi della Nato, come è evidente nel caso di un funzionario dell’agenzia di intelligence tedesca BND (Carsten L., capo divisione nella signals intelligence) arrestato nel dicembre 2022 con l’accusa di aver passato informazioni altamente classificate al governo russo e ora sotto processo per tradimento.

Non mancano, però, alcuni interrogativi. “Se le cose dovessero andare male per la Russia in guerra, questa dinamica unilaterale” imposta dal leader “potrebbe significare che le spie di Putin potrebbero non avere fretta di salvarlo”, scrivono i due esperti. Ma, come raccontato su Formiche.net nei mesi scorsi, c’è anche il tema delle difficoltà dei diplomatici-spie espulsi e delle loro famiglie a inserirsi nuovamente nella società russa. Infine, è vero che il caso tedesco sembra suggerire un aumento delle operazioni ambizioni. Ma il fatto che sia stato rivelato da Berlino, probabilmente con l’aiuto dell’intelligence britannica, sembra indicare una nuova consapevolezza e una diversa postura pubblica da parte dei Paesi target della Russia.

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